Freschi di stampa

Migranti a tutto tondo

Martina Zanchi - 29 Maggio 2015
Il vestito del migrante, un'installazione dell'artista Afran realizzata per la mostra Abiti da Lavoro, alla Triennale di Milano

Il vestito del migrante, un’installazione dell’artista Afran realizzata per la mostra Abiti da Lavoro, alla Triennale di Milano

E’ nelle librerie da poche settimane Migranti e territori. Lavoro, diritti e accoglienza (Ediesse) una collettanea di 16 saggi scritti da docenti universitari, scrittori, giornalisti e rappresentanti del Terzo Settore, che affronta  il tema delle migrazioni contemporanee analizzandolo da molteplici punti di vista, dandone una panoramica sociologica, e allo stesso tempo divulgativa, e toccando diversi punti caldi: il sistema di accoglienza italiano e le sue falle, le reclusioni nelle carceri libiche, lo sfruttamento del lavoro “migrante”, il dramma dei profughi.
Di questo libro parliamo con Marco Omizzolo, uno dei due curatori della raccolta (assieme a Pina Sodano, sociologa e arabista), giornalista e ricercatore – nonché collaboratore di Corriere delle Migrazioni – che ha redatto lavori di grande interesse in tema di migrazioni. Per In Migrazione Onlus (l’associazione di cui è vicepresidente), nel 2014, ha realizzato il dossier Doparsi per lavorare come schiavi,  un’indagine che ha sollevato il velo sulle terribili condizioni di lavoro a cui sono costretti dai datori di lavoro italiani i lavoratori indiani – in particolare della comunità Sikh – nelle campagne dell’agro pontino, in provincia di Latina. Una realtà di vera e propria schiavitù che costringe molti di loro ad assumere sostanze stupefacenti – di solito oppiacei – creando una nuova sacca sociale di tossicodipendenti che assumono droghe per sedare i dolori e la fatica del lavoro nei campi. Vi consigliamo caldamente di leggerlo, se già non lo avete fatto.

Qual è il valore aggiunto di questo testo rispetto ad altri?
Credo che nel dibattito pubblico italiano l’immigrazione sia trattata quasi esclusivamente in modo speculativo. Il nostro intento è stato, invece, quello di parlarne in modo da far arrivare ai lettori dei dati oggettivi sul fenomeno. Una narrazione scevra da pregiudizi, che offre anche momenti di empatia attraverso le diverse storie raccontate, e un approccio eterodosso ed eterogeneo al tema, per interessare tutti.

A cosa è dovuto il (malo) modo in cui media e politica maneggiano, troppo spesso, le questioni connesse all’immigrazione?
Da una parte c’è una certa sottovalutazione del fenomeno: lo si affronta quasi sempre e solo dal punto di vista emergenziale. Altre volte si tratta di una vera e propria volontà speculativa. Certi politici, in particolare, utilizzano un approccio razzista per accrescere la propria visibilità, e si arriva a situazioni paradossali. Non molto tempo fa, tanto per fare un esempio, a Borgo Sabotino (in provincia di Latina ndr) alcuni esponenti di Casapound si presentarono davanti a uno SPRAR con striscioni razzisti e il classico slogan “Prima gli italiani”. Una chiara provocazione.

A questo proposito, nella raccolta c’è un saggio, in particolare, che tratta di come gli italiani guardano alle famiglie immigrate nel contesto urbano. Che cosa è emerso?
Si tratta di una ricerca del professor Maurizio Ambrosini, portata avanti dall’Università di Milano. Quello che è emerso è che la maggior parte degli intervistati si pone con disagio e preoccupazione nei confronti delle famiglie straniere. Le si vede come elementi destabilizzanti di una sorta di “ordine costituito”: pensiamo ad esempio alla cucina, alle abitudini religiose, che vengono guardate con diffidenza se non con fastidio. Ma va detto che c’è un’altra percentuale – circa il 30% – che rappresenta coloro che, invece, hanno un atteggiamento positivo nei confronti dei nuclei familiari non italiani. Li considerano un’opportunità.

Immigrazione e assistenza sanitaria, cosa c’è di nuovo?
Ne parla Franco Brugnola, già responsabile del settore programmazione sanitaria della Regione Lazio e direttore amministrativo di Aziende Sanitarie Locali del Lazio e degli Istituti Fisioterapici Ospitalieri di Roma. Ha realizzato un’accurata sintesi del complesso insieme di norme nazionali e internazionali aventi ad oggetto il diritto alla salute, individuando i limiti di alcune norme e le differenze nell’esercizio delle medesime in relazione alla condizione o status nel quale si trova il migrante. Se egli è un “regolare”, riesce a godere dei servizi offerti dal servizio sanitario nazionale (su questo presenta degli studi anche quantitativi specifici). Altrimenti risulta emarginato e, soprattutto, per le condizioni materiali e sociali nelle quali è precipitato, a ripetere stati di salute critici che lo espongono insieme alla propria famiglia o clan sociale a continue malattie. E’ un saggio di grande interesse anche per gli appassionati al tema, fornisce una bussola di fondamentale importanza per orientarsi, e orientare, nel complesso mondo dei servizi sanitari pubblici. Il saggio è stato citato in alcuni corsi universitari ed è divenuto oggetto di tesi e di riflessione accademica.

Lei è entrato in contatto con diverse comunità di immigrati. Si è fatto un’idea di cosa sperino di trovare oggi i migranti in Italia?
I richiedenti asilo, in genere, pensano all’Italia come a un ponte per l’Europa. I media locali e i racconti di amici e parenti, già migrati verso il Vecchio Continente, hanno una forte incidenza nella rappresentazione che queste persone hanno dell’Europa. In questi territori, così lontani da casa loro, pensano di potersi creare una vita migliore. Un futuro per se stessi e le proprie famiglie.
Ci sono poi delle realtà, come quella degli Indiani, che hanno molto a che fare con la criminalità locale. I futuri lavoratori dell’agricoltura pontina, ad esempio, spesso vengono reclutati già nel proprio Paese da vere e proprie associazioni a delinquere. L’altro capo del meccanismo sono i “caporali”, alcuni imprenditori agricoli del pontino. Funziona così: se hanno bisogno di 50 lavoratori, si rivolgono allo “sponsor” (il trafficante) che li fa arrivare in Italia dietro il pagamento di una certa somma. Poi il lavoratore deve prestare servizio gratis, fin quando il “padrone” non è rientrato dalle somme spese. Spesso ci si chiede perché non si ribellino, il fatto è che potrebbero non trovare un altro impiego per mandare soldi a casa e per sopravvivere in Italia, per questo finiscono per arrendersi a soprusi e angherie di ogni genere.

Martina Zanchi