Europa

Parigi, lo sgombero annunciato

Stefano Galieni, Annalisa Romani - 11 Giugno 2015

Parigi Refugees1Il campo profughi allestito alla bene e meglio sotto un ponte della ferrovia metropolitana, fra le stazioni di La Chapelle e Barbes-Rochecchouart, zona nord di Parigi, nei pressi di Montmartre, colpiva agli occhi. Sopra i binari, ad un lato un canale e dall’altro una larga strada, in mezzo file interminabili di tende, ordinate e colorate. Ogni tanto si vedevano uscire persone, uomini, donne anche bambini, in una città umida che solo adesso comincia ad aprirsi alla primavera. Hanno passato il rigido inverno parigino in queste condizioni, il loro numero era sensibilmente aumentato da aprile, con l’intensificarsi dell’arrivo di profughi fuggiti soprattutto dall’Italia dopo il viaggio dalla Libia. Provengono soprattutto dal Sudan, dall’Eritrea, dalla Somalia e dall’Egitto, molti di loro rischiano di essere rispediti in Italia se non direttamente – soprattutto gli egiziani – nei paesi di partenza.

Mercoledì 27 maggio era stato annunciato dal prefetto di polizia Bernard Boucault lo smantellamento imminente dell’assembramento abusivo, sull’onda di un ipotetico allarme sanitario. È stata l’Agenzia sanitaria regionale a constatare una epidemia di scabbia, assolutamente non strana in un contesto privo di servizi, con toilette provvisorie, messe su dal Comune e da tempo intasate. Le condizioni di salute di chi vive in quella situazione sono certamente critiche e andavano trovate migliori soluzioni ma ha prevalso utilizzare il “pericolo epidemia” per dare corso alle operazioni. Decine e decine gli agenti utilizzati martedì 2 giugno dalle 6 del mattino, l’area è stata chiusa al traffico mentre venivano allontanati fotografi e giornalisti. Per quanto ci è dato ora di sapere, invece che le ruspe (tanto di moda in Italia) si è preferito trovare soluzioni, temporanee, di accoglienza. La Comunità Emmaus, la settimana precedente, aveva fatto una vera e propria “diagnosi” dell’insediamento (numero di persone nel campo, loro situazione e tipo di risposta più adatta) stilando una lista di 390 persone. La metà sono richiedenti asilo e a molti è stato riconosciuto lo status di rifugiato. Una parte dei presenti al campo è stata datta salire su autobus diretti nell’Ile de France, un’altra  in un centro di accoglienza di Parigi (la boulangerie).
Ma secondo altre fonti, il numero delle persone  che si erano accampate era molto più alto. In previsione dello sgombero in molti non si sono fatti trovare o registrare.

Pascal Julien, responsabile dei verdi, ha dichiarato che con questa azione si vuole solo disperderli. Circa duecento persone del campo avrebbero chiesto (o è stato loro imposto) di lasciare il Paese, per dirigersi verso il Nord Europa o la Gran Bretagna. A detta del prefetto le donne e i bambini, cosi come i richiedenti asilo, sarebbero stati sistemati in centri d’accoglienza.A Parigi saranno ospitate 74 persone (tra cui tutti i minori presenti sul campo) in alberghi. La zona in cui si erano accampati sarà presto ripulita e resterà sotto sorveglianza per impedire altri assembramenti. Nel riportare la notizia, alcuni giornali francesi, hanno utilizzato il termine, trier, che ha una valenza precisa. Si usa comunemente per indicare  la separazione dei rifiuti nella raccolta differenziata, ennesima dimostrazione di come anche la stampa d’oltralpe non sia aliena dai livelli che spesso si riscontrano in  Italia. In attesa di sgombero sono anche coloro che si sono rifugiati ai Docks, presso la Cité de la Mode et du Design, un grande magazzino che dà direttamente sulla Senna nei pressi della stazione di Austerlitz, ristrutturato in chiave postmoderna come se fosse un battello verde. Un posto assurdo nel contrasto. Un museo dell’Arte ludica e un Cocktail Bar dalla cui terrazza, con pavimento in legno esotico, si scorgono tende sulla Rive Gauche che ospitano almeno 300 persone. Le associazioni umanitarie hanno denunciato una “accoglienza indegna”, il Comune ha assicurato un impegno per sistemazioni più decenti.

Come nelle metropoli italiane, per donne e bambini si assicurano alloggi meno esposti, per gli uomini la situazione è più complessa. L’Ofpra (Ufficio Francese di protezione rifugiati e apolidi, ha lavorato preventivamente nella tendopoli ora smantellata, schedando e separando le persone. Per gli eritrei ci sono possibilità di ottenere l’asilo, più complessa la situazione dei sudanesi mentre le possibilità sono risibili per gli egiziani. Pierre Henry, direttore di France Terre d’Asile denuncia l’assurdità di quanto accade: «Inaccettabile che una metropoli come Parigi non sappia sistemare meno di mille persone e che altre 2mila siano bloccate in una vera e propria giungla, quella del porto di Calais, in attesa di sfuggire ai controlli per potersi imbarcare di nascosto verso la Gran Bretagna.  L’U.E. dice che la Francia dovrebbe adesso accogliere 9127 rifugiati provenienti da Italia e Grecia- prosegue Henry- ma intanto il governo ha respinto l’idea delle quote (peraltro insufficienti Ndr) in attesa della riunione dei ministri dell’interno che si terrà a metà giugno e di quella dei capi di Stato e di governo del 25-26 giugno, in cui presumibilmente saranno molti i paesi a negare la propria disponibilità alla ripartizione stabilita». Nel frattempo si temono provocazioni di diverso segno. Da una parte i salafiti che hanno già provato a predicare nei pressi degli accampamenti, dall’altra la destra xenofoba del Front National che vorrebbe cavalcare ancora il disagio. A Parigi si respira molto lo stesso clima italiano:  da una parte zone della città inclusive, multiculturali e vivaci dall’altra aree di autoesclusione o, peggio ancora, di profonda intolleranza verso chi non è bianco e francese doc. Una polveriera la cui pericolosità è acuita da una crisi economica che comincia a farsi sentire in maniera forte, tanto che ormai anche la Francia è vista dai profughi solo come una tappa di transito, verso il ricco nord o i Paesi in cui si hanno relazioni parentali che offrono sostegno. Una sola notizia positiva, nella terza settimana di maggio 111 cittadini eritrei hanno ottenuto protezione a Calais, ma si tratta di una minima parte di persone che ha superato la diffidenza e il timore di trovarsi ancora bloccati.

Stefano Galieni e Annalisa Romani
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