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La comunità di Blazuj, località situata nei pressi di Sarajevo, continua a chiedere con crescente determinazione la chiusura del campo profughi presente nel territorio, ormai percepito come fonte di pericolo e degrado per la sicurezza e la qualità della vita degli abitanti locali. Un clima di tensione che si protrae da anni, aggravato da numerosi episodi di violenza e illegalità.
La situazione a Blazuj: paura e degrado sociale
Secondo quanto riportato dalla redazione bosniaca dell’emittente N1, la popolazione di Blazuj vive in uno stato di costante allarme causato da uccisioni, ferimenti, sparatorie, risse, traffici di armi e droga che vedono protagonisti i migranti presenti nel campo. L’ultimo grave episodio risale alla fine di maggio scorso, quando una sparatoria tra gruppi rivali di migranti afghani e pachistani ha lasciato sei feriti, di cui due in condizioni gravi. I residenti denunciano inoltre condizioni di degrado ambientale, con rifiuti lasciati davanti alle abitazioni e continue richieste di cibo e sigarette da parte degli ospiti del campo.
Un abitante di Blazuj ha dichiarato a N1: “Il campo va chiuso. Sono sporchi, lasciano la spazzatura davanti alle nostre case e noi la dobbiamo smaltire“. Le autorità locali condividono queste preoccupazioni e hanno sollecitato un intervento urgente da parte del governo bosniaco, minacciando di intraprendere azioni di protesta e blocchi stradali qualora non venga adottata una soluzione.
Il contesto più ampio dei campi profughi nei Balcani
Il caso di Blazuj si inserisce in un quadro più ampio di gestione dei flussi migratori e delle strutture di accoglienza nei Balcani e in Europa. Il recente progetto digitale “Chiusi dentro. Dall’alto”, nato dal libro “Chiusi dentro” curato da RiVolti ai Balcani e pubblicato nel 2024 da Altreconomia, documenta con immagini satellitari l’esistenza di oltre cento campi di confinamento in quindici Paesi europei, inclusa la Bosnia ed Erzegovina. Queste strutture, spesso ubicate in aree remote o periferiche, sono state criticate per la loro natura carceraria e per l’isolamento imposto ai migranti, aggravando la loro condizione di marginalizzazione.