Medici per i diritti umani (MEDU): il rapporto sul CIE di Ponte Galeria

L.M. - 15 Novembre 2010
A Ponte Galeria resta stabile al 43% nel 2010, rispetto al 2009, il numero dei rimpatri realizzati. Medu: “Se confermato a livello nazionale, il dato rivela l’inutilità del prolungamento da 60 a 180 giorni deciso dal governo”
di Redattore Sociale

ROMA. Degli oltre 10 mila stranieri trattenuti nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) italiani nel corso del 2009 solo il 38% è stato effettivamente rimpatriato, una percentuale inferiore a quella dell’anno precedente, quando era stato rimpatriato il 41%.

Nel più grande Cie, quello di Ponte Galeria, alle porte di Roma, la percentuale degli espulsi trattenuti nei primi nove mesi del 2010 è pari al 43%. Del tutto identica a quella rilevata nello stesso periodo del 2009, quando il termine massimo di trattenimento non era stata ancora allargata fino a sei mesi, ma era ancora di 60 giorni. A segnalarlo è il terzo rapporto di Medici per i diritti umani (Medu), reso noto stamane.


Secondo il rapporto, considerando la stima del numero di immigrati non in regola con le norme sul soggiorno presenti in Italia (intorno ai 560 mila) “il ruolo dei Cie e del sistema di detenzione amministrativa nel contrastare l’immigrazione irregolare appare del tutto trascurabile” e “ciò a prescindere da un’efficienza che, comunque, non risulta dall’evidenza dei numeri”. In particolare il rapporto si sofferma sul dato relativo al 2010 della percentuale di trattenuti effettivamente rimpatriati, che a Ponte Galeria è rimasto invariato rispetto all’anno precedente. Se tale tendenza venisse confermata anche a livello nazionale, spiega il rapporto, risulterebbe chiaro che la decisione di ampliare il periodo di trattenimento da 60 a 180 giorni, provvedimento fortemente voluto dal governo ed entrato in vigore l’8 agosto 2009, non avrebbe prodotto alcun risultato ed evidenzierebbe – scrive Medu . “l’inutilità del prolungamento a 180 giorni dei termini massimi di trattenimento”. “Esclusa dunque – continua il testo – un’efficacia dal punto di vista degli scopi dichiarati dei Cie, ossia l’identificazione e l’espulsione dei migranti in condizione d’irregolarità, rimarrebbe per queste strutture la funzione di strumento punitivo ed emblematico di una politica di contrasto all’immigrazione clandestina basata su un approccio esclusivamente securitario: funzione punitiva che risulta essere sovente la stessa ragione per cui si costruisce e si giustifica un’istituzione totale, insieme al ruolo di contenimento e segregazione per “categorie diverse di persone socialmente indesiderate”.

CIE DI PONTE GALERIA: INADEGUATO A GARANTIRE RISPETTO. Il Cie di Ponte Galeria, alle porte di Roma, “si conferma essere una struttura del tutto inadeguata a garantire il rispetto della dignità umana degli immigrati trattenuti”, e se le criticità rilevate in passato, quando la gestione era affidata alla Croce Rossa, permangono anche ora, con la cooperativa Auxilium nel ruolo di ente gestore, e sono comuni alla gran parte degli altri Cie presenti sul territorio italiano, è evidente come “la proposta avanzata dal prefetto di Roma di chiudere il Centro di Ponte Galeria e di aprirne un altro maggiormente attrezzato in un’altra zona più periferica del Lazio, non possa in alcun modo superare le criticità di fondo costantemente rilevate nel corso dei dodici anni di storia del centro”. Ad affermarlo è il terzo rapporto di “Medici per i diritti umani” (Medu) sul centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, alle porte di Roma. Si tratta del più grande centro a livello nazionale. Le considerazioni sono il frutto della visita realizzata dagli operatori del Medu il 14 ottobre scorso e delle interviste realizzate agli immigrati presenti nella struttura.

Il documento segnala che “le caratteristiche strutturali del centro richiamano quelle di un istituto penitenziario del tutto inadatto a garantire una permanenza dignitosa agli immigrati spesso trattenuti per un periodo prolungato di tempo” e che “persiste la mancanza di un adeguato collegamento con le strutture pubbliche esterne che si traduce in un difficile accesso alle cure specialistiche e agli approfondimenti diagnostici”. In particolare “il diritto alla salute per i trattenuti appare dunque ancora meno garantito che in passato in ragione del fatto che l’ente gestore è in grado di assicurare solo un’assistenza sanitaria di primo livello, che il personale sanitario della Asl non ha accesso alla struttura e che il periodo massimo di trattenimento è stato prolungato a sei mesi”. La cooperativa Auxilium ha sostituito la Croce Rossa nella gestione del campo a partire da marzo 2010. “Particolare preoccupazione” viene segnalata per l’uso degli psicofarmaci all’interno del centro, con una “prescrizione eccessiva e, sovente, irrazionale di farmaci sedativi ai trattenuti, in mancanza di personale medico specialistico”.

DONNE VITTIME DI TRATTA. Un “drammatico clima di disagio” e una situazione che “permane esplosiva e imprevedibile” nonostante le rassicurazioni in tal senso dell’ente gestore. Così “Medici per i diritti umani” descrive nel suo “Terzo rapporto” la realtà di Ponte Galeria, vicino Roma, il più grande Centro di identificazione ed espulsione d’Italia. Con una media di 270 persone trattenute (la capienza globale è di 366, non è segnalato alcun fenomeno di sovraffollamento), nel centro transitano soprattutto romeni (la nazionalità più diffusa) oltre a nigeriani, marocchini, algerini, ucraini e serbi. L’80% dei trattenuti uomini provengono dal carcere mentre fra le donne quattro su cinque sono vittime della tratta della prostituzione.

“Come sistematicamente rilevato anche nei precedenti rapporti – scrive il Medu – il trattenimento nel centro rappresenta spesso un prolungamento della detenzione carceraria: accade così che detenuti in condizioni d’irregolarità non siano identificati durante il periodo della permanenza in carcere, e allo scadere della pena, in luogo di essere rimpatriati, siano trasferiti nel centro, dovendo così scontare un periodo aggiuntivo di trattenimento”. “La permanenza nel Cie – si legge – viene sovente percepita da un ex-detenuto come un’ingiusta estensione della pena già scontata”: una situazione che con facilità può “alimentare tensioni e divenire difficilmente gestibile”. Appare poi “del tutto improprio” il trattenimento nel Cie di donne potenziali vittime di tratta, in quanto struttura “evidentemente non adeguata per avviare gli opportuni percorsi di assistenza e protezione sociale a favore di persone particolarmente vulnerabili”. Una riflessione anche sulla presenza così massiccia di trattenuti romeni, la cui espulsione, in quanto comunitari, è al momento consentita “esclusivamente per motivi di sicurezza dello Stato e ordine pubblico, ipotesi di minaccia grave e reale per la società non giustificabile automaticamente nemmeno con l’esistenza di condanne penali”. Secondo il Medu, “trattandosi di ipotesi eccezionali e circoscritte, un numero così alto di trattenimenti di cittadini rumeni suscita dubbi circa possibili abusi dello strumento normativo”.

In questo contesto, per “Medici per i diritti umani” l’altissima frequenza di atti di autolesionismo nei primi mesi dell’anno, insieme alle proteste e alla rivolta di marzo 2010, testimoniano la tensione, il disagio e il malessere che si respira nel centro, per quanto “rispetto alla visita compiuta due anni fa bisogna rilevare che gli ambienti abitati (camerate, bagni) presentano uno stato di mantenimento sensibilmente migliore. Per il Medu il centro presenta “l’aspetto di una struttura penitenziaria”, con il perimetro delimitato da alte mura vigilate a vista e recinzioni interne costituite da sbarre alte 5 metri: il previsto posizionamento di pannelli trasparenti a copertura dei settori maschili (serviranno ad impedire fughe sui tetti e proteste eclatanti) “non farà che rendere ulteriormente oppressiva la struttura”. Preoccupa anche la mancanza di un regolamento scritto (una circolare ministeriale la prevederebbe) ma viene dato atto che dopo l’estensione del periodo massimo di permanenza da 60 a 180 giorni “sono stati compiuti degli sforzi per garantire maggiori spazi ed attività ricreative e di svago”: in particolare l’ente gestore riferisce di aver avviato corsi d’italiano, arte terapia, danza per le donne e cineforum pomeridiano, mentre sono presenti un campo di calcetto nuovo, una piccola biblioteca con vecchi testi e videocassette, spazi per le attività di culto. E nelle camerate (dormitori da otto posti letto per gli uomini e sei per le donne) ci sono delle tv. Interventi che però non cambiano il giudizio finale: “La struttura appare del tutto inadeguata ad assicurare condizioni di vita dignitose a persone che vi permangono per 24 ore al giorno affrontando periodi di trattenimento che si possono prolungare fino a 6 mesi”.