Letture meticce

Denti bianchi, vite scure

- 1 Giugno 2013


NW, il nuovo attesissimo libro di Zadie Smith, uscirà in Italia il 7 giugno, per Mondadori.

Arriva 7 anni dopo l’ultimo romanzo dell’autrice, Della Bellezza, e 12 anni dopo Denti Bianchi che la consacrò, giovanissima, come una delle penne migliori della sua generazione e soprattutto della letteratura postcoloniale britannica. Zadie Smith, che oggi ha 37 anni, figlia di padre inglese e madre giamaicana, è cresciuta nella zona nordovest di Londra (da cui il titolo, NorthWest), in un’area, quella tra Kilburn e Willesden, in cui era ambientato Denti Bianchi e in cui ora si muovono i personaggi di NW.

È un libro affascinante e per niente semplice, questo: per la struttura, la sperimentazione linguistica, il ricorso (specie nella prima parte) al flusso di coscienza, i riferimenti molto specifici a una società britannica in trasformazione e a un’area della capitale che, nel corso degli ultimi 50 anni, è diventata un universo multietnico nel quale si intrecciano odori, idiomi, sapori e colori provenienti da molte parti del mondo.

I quattro protagonisti, Leah, Natalie, Nathan e Felix oggi hanno intorno ai 30 anni e ad accomunarli è il loro punto di partenza: Caldwell, il complesso di case popolari in cui sono cresciuti.
Leah, rossa di capelli, irlandese di origini, ha sposato un francese di sangue caraibico e algerino (che fa il parrucchiere e arrotonda con il trading online) e lavora per un’associazione non-profit dove è l’unica bianca.
Natalie è figlia di giamaicani. Consapevole sin da ragazzina di dover faticare più degli altri per arrivare in alto, e decisa a farlo, ha abbandonato il suo vero nome, Keisha, nel tentativo di porre una distanza tra sé e le proprie origini. È diventata avvocato e ha sposato il ricco Frank, figlio di una milanese e di un uomo di Trinidad. Le due ragazze, a parte un breve periodo di separazione, sono legate dall’infanzia.
Felix lo incontriamo mentre fa visita al padre, un vecchio rasta giamaicano che tiene fermi i lunghi dreadlocks con un cucchiaio di legno e che negli anni 70 ha abitato a Garvey House, una comune fricchettona e multietnica diventata un luogo mitico a cui si dedicano libri e articoli. Felix, nel passato, è stato un consumatore di droghe, ma adesso, grazie all’incontro con la solida Grace (metà giamaicana, metà nigeriana) è sulla strada per trovare un buon equilibrio. Non ci riuscirà: quando l’autrice ce lo presenta, ci avverte già che verrà accoltellato durante una rapina.
Infine Nathan, l’amore adolescenziale di Leah, ragazzo dall’intelligenza brillante che, però, sembra destinato a restare ai margini. Unico suo obiettivo: la sopravvivenza.

L’universo di NW è un agglomerato di culture che coabitano senza amalgamarsi: per strada c’è odore di narghilé, couscous e kebab. I giornali esposti all’edicola sono turchi, arabi, irlandesi, francesi, russi e spagnoli. Le banche sono irachene, egiziane, libiche. Le donne si coprono il capo (magari con foulard griffati) o si velano integralmente. Durante una passeggiata con la madre Pauline (che chiama tutti gli africani, indistintamente, “nigeriani”), davanti al tempio indu, Leah osserva fiumi di persone uscire indossando i loro sari insieme a maglioni e calze di lana: «Sembra che abbiano camminato fino a Willesden da Delhi, aggiungendo strati man mano che procedevano verso nord».

Ogni personaggio mantiene una forte consapevolezza del sangue che scorre nelle proprie vene. L’incontro con l’altro accade, certo: è inevitabile, quando si vive così vicini. Ma il senso di appartenenza a una comunità, a un gruppo etnico, resta. Le colleghe di Leah le fanno notare che “senza offesa”, ma per le donne della comunità afro-caraibica, vedere uno dei “loro” con una bianca come lei è un problema. Michel, l’uomo in questione, ha lasciato la Francia per la Gran Bretagna perché, dice, qui se ti dai da fare ci sono più opportunità: «Non mi è mai interessato sedermi sugli allori e accettare la carità. Sono africano, ho un destino». Natalie si è cambiata il nome, sì. Ma non può cancellare il proprio background. E anche se si sforza di essere socialmente impeccabile, per dimostrare al mondo di meritarsi ciò per cui ha lottato (sicurezza economica, una bella casa, un matrimonio apparentemente perfetto, un gruppo di amici avvocati e banchieri, maggior parte di quali anche loro figli di immigrati), in lei resta un’inquietudine di fondo. E un senso di colpa nei confronti della famiglia. Che emerge, per esempio, durante uno scontro con la sorella, rimasta al punto di partenza: «Perché devo essere punita perché sto cercando di fare qualcosa della mia vita?».

La società multiculturale, in queste 400 pagine, è un dato di fatto. L’autrice non sembra interessata a indagare i conflitti sociali che può generare e che genera (non c’è quasi nessun riferimento a fatti di cronaca degli ultimi anni), quanto a raccontare le inquietudini di una generazione che vive in un mondo che sta cambiando troppo rapidamente, nel quale le identità sono fragili, la tecnologia pervasiva, e la recessione acuisce le distanze tra ricchi e poveri, indebolendo la speranza in un futuro sereno o anche solo accettabile. C’è smarrimento, insoddifazione, inquietudine nei personaggi di NW. Alla fine del libro, quando Leah in un momento di sconforto si domanda il perché delle ingiustizie che vede intorno a sé, Natalie le risponde che a loro è andata meglio, rispetto ad altri, perché si sono impegnate di più. «Le persone ottengono ciò che si meritano», conclude. Ma sembrano le parole di chi cerca, con ostinazione, di convincere se stesso.

Gabriella Grasso