Eritrea

Generali coinvolti nella tratta

- 16 Dicembre 2013

Sono tra le 25 e le 30 mila le persone (uomini, donne e bambini) che tra il 2009 e il 2013 sono finiti prigionieri delle reti criminali del Sinai. Clan di beduini senza scrupoli che non esitano a rapire i profughi in fuga dall’Eritrea, ma anche sudanesi ed etiopi, per ottenere il pagamento di un riscatto. Un traffico estremamente redditizio: per ogni vittima, il prezzo da pagare è passato in pochi anni da mille dollari a 30-40 mila. Per un totale di circa 622 milioni di dollari, 453 milioni di euro. Ma non tutti sopravvivono alla prigionia e alle torture dei beduini: tra le 5 e le 10 mila persone hanno trovato la morte in quest’area, dal 2009 al 2013.

Sono le dure e circostanziate denunce contenute nel rapporto “The human trafficking cycle: Sinai and beyond”, presentato il 4 dicembre alla Commissaria europea per gli affari interni Cecilia Malmström, realizzato dalla giornalista eritrea Meros Estefanos insieme a Mirjam van Reisen e Conny Rijken dell’università di Tilburg, in Olanda. Le “prede” più ambite sono i giovani eritrei (circa nove su dieci, secondo il rapporto): la rete della diaspora eritrea nel mondo spesso aiuta le famiglie a liberare i parenti e quindi paga. Molti di loro vengono dai campi profughi in Sudan o dal campo militare di Sawa, dove i giovani eritrei sono costretti a svolgere il servizio militare. I sequestratori sono spesso eritrei, quegli stessi militari che gestiscono i campi di addestramento e che non esitano a vendere i propri “figli” ai trafficanti sudanesi o beduini.