Questione kurda

Tre vittime, nessun colpevole

- 13 Gennaio 2014

Il 9 gennaio del 2013, tre dirigenti kurde che vivevano a Parigi furono assassinate da ignoti. Si chiamavano Sakine, Fidan e Leyla ed erano fra le più attive per una soluzione politica del confronto che vede le forze progressiste kurde della Turchia, vicine al Pkk (Il partito dei lavoratori kurdi), in forte contrasto con il governo centrale. Nel giorno esatto dell’anniversario, numerose mobilitazioni, presidi, iniziative pubbliche si sono svolte in diverse città europee. A Roma, una folta rappresentanza di rifugiati e di attivisti italiani si è radunata in mattinata davanti all’ambasciata di Francia, con cartelli e striscioni. È stato consegnato ad un funzionario dell’ambasciata un dossier su questa strage e sono state ribadite le esigenze di verità e giustizia che i kurdi chiedono per queste loro vittime. «Il vostro silenzio vi rende complici» È stato più volte ribadito all’indirizzo delle autorità transalpine. Due giorni dopo, l’11 gennaio, una manifestazione si è tenuta a Parigi ed una in Turchia. Tante le bandiere kurde, tante quelle con il ritratto di Abdullah Öcalan, capo storico del Pkk, centinaia di persone ancora a chiedere la verità a Istanbul. Sulla morte delle tre militanti, tra cui una delle fondatrici del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, uccise con colpi d’arma da fuoco alla testa, non è ancora stata fatta chiarezza. Scontri si sono verificati con la polizia turca che ha respinto la richiesta dei manifestanti di raggiungere il consolato francese, all’estremità del frequentatissimo Viale dell’Indipendenza. Gli agenti hanno usato lacrimogeni e idranti. Partecipata anche la manifestazione che si è svolta a Parigi, davanti al centro informazioni del Kurdistan. Per questo triplice omicidio sono state tracciate varie ipotesi. Si è tentato di depistare l’inchiesta parlando di regolamento di conti all’interno del movimento curdo, ma sembra sempre più probabile dover indagare verso gli ostacoli, più o meno  istituzionali, che il governo di Ankara frappone per l’’apertura dei colloqui di pace tra il Pkk e Ankara. Per i kurdi e per molti osservatori indipendenti internazionali si tratta di un vero e proprio assassinio politico con cui si è voluto privare il movimento di 3 importanti dirigenti. Dopo l’arresto di un uomo, otto giorni dopo l’omicidio, non si è ancora conclusa l’indagine preliminare e questo anche grazie ai tanti ostacoli posti da un Paese che mostra evidenti  limiti democratici. Non da allora i tanti rifugiati di tale origine, provenienti dalla Turchia, si sentono in ostaggio di due forme di controllo e di repressione. Da una parte le autorità statuali dei paesi ospitanti, che considerano ancora il Pkk come una organizzazione terroristica da black list, dall’altra quella degli emissari turchi, che poco gradiscono la presenza in Europa di chi mette in dubbio la credibilità del regime di Erdogan.