Rom-anzi

Campi nomadi, quanto ci costano?

Sergio Bontempelli - 17 Giugno 2014

Calculator How Much Can You Afford or SaveOltre 24 milioni di euro. È la cifra impiegata dal Comune di Roma, nel solo anno 2013, per mantenere il sistema dei “campi nomadi”, e in generale per le politiche rivolte ai rom e ai sinti.

Ventiquattro milioni di euro per la gestione di sette “villaggi attrezzati”, di tre centri di raccolta e accoglienza per nuclei familiari rom, nonché per le numerose operazioni di sgombero degli insediamenti informali (cosiddetti “abusivi”).

Sono questi i dati che emergono dal rapporto «Campi Nomadi S.p.A.», curato dall’Associazione 21 Luglio e che verrà presentato proprio in questi giorni. Dati sorprendenti, soprattutto se li paragoniamo a quelli degli anni passati: nel 2010 e nel 2011, in particolare, il sistema dei “campi” costava in media 10 milioni di euro l’anno (lo aveva mostrato il dossier Segregare Costa, curato da Lunaria Onlus). Nel giro di un biennio, le cifre sono più che raddoppiate.

Inclusione ed esclusione: a chi vanno i soldi del Comune?
Nel rapporto curato dalla 21 Luglio, le spese sostenute dal Comune di Roma sono ripartite per voci: gestione dei campi, sorveglianza, scolarizzazione dei minori, percorsi di inclusione sociale ecc. È così possibile avere un’idea non solo di quanto si spende, ma anche di come sono impiegate le risorse. E anche in questo caso i dati sono sorprendenti: nell’ingente fiume di denaro che esce dalle casse del Campidoglio, appena il 10% è impiegato per politiche di inclusione sociale.

Diciamolo in altri termini, per essere più chiari: mentre il Comune di Roma spende un sacco di soldi per le politiche sui cosiddetti “nomadi”, i “diretti interessati” – cioè i rom e i sinti – sono di fatto gli ultimi a beneficiare di questa ingente mobilitazione di risorse. Può sembrare un paradosso, ma è così. Ed è un punto importante: dovrebbe prenderne nota chi protesta perché “si danno soldi agli zingari e non agli italiani” (strano modo di esprimersi, peraltro: più di metà dei rom e dei sinti presenti nel nostro paese sono italiani…).

A chi vanno, dunque, i soldi stanziati dall’Amministrazione capitolina? «Il rapporto», spiegano dalla 21 Luglio, «vuole far luce sul vasto indotto che si muove attorno alla gestione dei “campi rom”, e che si alimenta attraverso l’erogazione di finanziamenti a pioggia, regolati in buona parte da affidamenti diretti, a più di trenta attori del terzo settore – associazioni, cooperative, enti no profit ecc. – per la gestione di servizi assistenziali. Per di più, questi ultimi non prevedono quasi mai progetti di inclusione sociale».

Cosa si può fare?
Il Rapporto curato dalla 21 Luglio non si sottrae alla fatidica domanda: d’accordo, le politiche locali in materia di rom e sinti sono costose e sbagliate, ma qual è l’alternativa? È possibile – in tempi di crisi economica, dove le risorse sono sempre più scarse e i bilanci dei Comuni sempre più magri – perseguire una politica inclusiva e, al contempo, “sostenibile”?

«Nel nostro dossier», dice Carlo Stasolla, presidente della «21 Luglio», «proponiamo una comparazione tra buone prassi di superamento dei “campi nomadi” in due città italiane e le politiche praticate nella città di Roma nel 2013. Il rapporto si conclude con la presentazione di una proposta concreta per superare la “politica dei campi” nella città di Roma attraverso il coinvolgimento di cittadini rom e non rom in emergenza abitativa».

Qual è questa “proposta concreta”? Mentre scriviamo, il dossier non è ancora stato reso pubblico, ma l’idea è stata anticipata dallo stesso Stasolla al Corriere della Sera online. «Si tratta di un progetto fondato sull’autocostruzione» – ha dichiarato Stasolla – «si parte dall’individuare un immobile dismesso e si coinvolgono i soggetti interessati nella riqualificazione a fini abitativi dello stesso. Un’idea che non coinvolgerebbe solo i rom, ma anche famiglie di rifugiati o nuclei italiani in condizioni di difficoltà economiche».

Recuperare immobili dismessi con il lavoro di persone in condizioni di marginalità abitativa: è un progetto che può contribuire ad affrontare il problema casa, ma che può avere effetti positivi anche su altri fronti. Ad esempio, i Comuni possono ristrutturare immobili a costi contenuti, incrementando così il proprio patrimonio di edilizia sociale.

E un alloggio ristrutturato, devoluto a fini sociali, può servire a tutti: oggi ai rom e ai sinti, domani a famiglie comunque in condizioni di bisogno. Come dire: una buona politica non mette in contrapposizione “noi” e “loro”, perché i diritti o sono per tutti, o non sono.

Sergio Bontempelli