Malaccoglienza

Il palazzo di vetro degli invisibili

Stefano Galieni - 16 Luglio 2014

Amanuel aveva forse venti anni. Difficile sapalazzo-selam-632x420perlo, impossibile ricostruire biografie frantumate come la sua e come quella dei tanti e delle tante che in Europa oggi cercano un attimo di respiro per poter tornare a camminare.
Amanuel veniva dall’Eritrea, sapeva cosa lo aspettava: il Sudan e la Libia da attraversare, il mare di mezzo, la Sicilia e poi  Roma, e lì, in particolare, un luogo preciso ormai considerato la “Lampedusa della capitale”, il Selam Palace di via Cavaglieri, estrema periferia Sud della città in uno dei tanti quartieri dormitorio, la Romanina, la cui vita è garantita esclusivamente dalla vicinanza con un polo universitario. È morto in silenzio, in uno dei sotterranei, un tempo adibiti a garage, in cui trovano rifugio gli ultimi arrivati, quelli che restano il tempo necessario per riprendersi e poi ripartire verso il Nord Europa. È morto in silenzio, forse di stenti o di denutrizione. Si attendono ancora i risultati autoptici per scoprire le cause di un decesso di un giovane, con ogni probabilità partito sano e forte, ma distrutto poi da mille traversie. La sua morte – altamente annunciata – non ha avuto nessuna eco mediatica. Ed è per questa ragione che abbiamo scelto di parlarne nella nostra apertura.

Passato prossimo Il Selam Palace è a tutti gli effetti un palazzo di vetro. Attualmente ospita circa 2.000 persone, quasi totalmente rifugiati o depositarie di protezione umanitaria; un tempo c’era la facoltà di Lettere dell’Università. Le targhe “Aula di storia contemporanea” e “Aula di storia moderna” sono ancora visibili. Dopo essere stato dismesso, l’edificio venne occupato nel 2006 da un gruppo di rifugiati e  ha vissuto per anni in una condizione di invisibilità forzata che tuttora continua. A prendere possesso dello stabile furono inizialmente gli sgomberati della Stazione Tiburtina, ossia l’Hotel Africa. Erano 250, provenienti per lo più dal Corno d’Africa. Furono  cacciati poco dopo e portati in un tendone di fortuna, ma dopo una serie di proteste li fecero rientrare lasciando che prendessero possesso degli ultimi due piani. Le altre ali vennero murate. Doveva essere una soluzione transitoria, i locali non erano adattabili ad uso abitativo. Dopo la visita dell’allora ministro al welfare Paolo Ferrero, si stanziarono risorse per trovare sistemazioni alternative. Nuovi centri di accoglienza che però i rifugiati non potevano visitare preventivamente, neanche con una piccola delegazione. Quando giunsero i pullman per il trasferimento, gli ospiti si opposero incatenandosi al palazzo. L’inasprimento della tensione portò già nel 2007 a far considerare illegale l’occupazione, l’amministrazione municipale smise di pagare le utenze e di occuparsi della manutenzione. Intanto aumentavano gli ospiti, alcuni riuscirono ad ottenere anche la residenza, requisito indispensabile per avvicinarsi a gran parte dei servizi minimi di assistenza, ma presto si avviò un processo di vera e propria degenerazione.
Le istituzioni locali (Municipio e Comune) si limitarono a condividere provvedimenti repressivi nei momenti in cui si verificavano le inevitabili tensioni interne derivanti da una promiscuità forzata. Tensioni che hanno avuto spesso una forte eco sui media, con l’effetto di acuire la marginalizzazione degli ospiti. Negli anni il palazzone di vetro, di 9 piani, ha subìto inevitabili cedimenti e danni, ma l’autogestione ha portato anche a spazi di socialità e di mutualismo.

Selam_Palace03[1]Un presente senza futuro Ad entrarci dopo 8 anni, pochi giorni prima dell’arrivo di Amanuel, ma quando lo stabile era già pieno all’inverosimile, si ha la misura esatta di come la condizione di accoglienza, di vita e le prospettive di futuro per chi vive al Selam Palace sia inesorabilmente peggiorata. Al tempo stesso però non si può non percepire una maggiore determinazione e capacità di affrontare con le proprie forze la condanna all’invisibilità.
Le pareti di cartongesso che muravano i locali sono state abbattute, creando in ogni luogo possibile, dal nono piano ai garage sotterranei, dei micro appartamenti. Si sono ingegnati aumentando il numero di bagni e mettendo le docce, ma questo ha prodotto anche danni sovraccaricando le tubature. In funzione ci sono un wc alla turca ogni 19 persone e una doccia ogni 33, una quantità inferiore a quella ritenuta minima nei campi profughi dell’Unhcr. Sono 6 le colonne di servizi igienici, 3 delle quali lasciano cadere infiltrazioni d’acqua nei piani inferiori. Questo si traduce in corti circuiti ricorrenti, pioggia di pezzi di intonaco e di calcinacci.
I volontari di Cittadini del Mondo, che cercano di garantire agli ospiti  l’accesso ai servizi essenziali (almeno ad alcuni) con un minimo di continuità agli ospiti e hanno dato vita ad uno sportello polifunzionale all’interno del palazzone, hanno espresso, nel corso di una affollata conferenza stampa a cui erano presenti esponenti della Regione e del Municipio, grande preoccupazione per le condizioni sanitarie. Da un loro monitoraggio (parziale) emerge che il 73% di questi vive in Italia da più di 5 anni, ma solo in pochi hanno accesso ai servizi pubblici, dalla sanità alla scuola ai corsi di italiano agli uffici per l’impiego. Mancano i mediatori. Non mancano, invece, gli scogli burcratici. A causa dell’assenza della fotografia nel cedolino rilasciato come documento di identità ai richiedenti asilo, l’assistenza sanitaria viene molte volte interdetta. Il 35% dei bisognosi di cure presenti nel palazzo non risulta iscritto al Sistema sanitario nazionale, il 32% ha la tessera scaduta e il 14%  documenti riferibili ad un’altra città italiana. Le malattie più frequenti sono quelle connesse alla povertà. Gli ospiti erano tendenzialmente sani prima di finire qui dentro. Si sono ammalati per le disastrose condizioni di vita che debbono sopportare. Il palazzone di Via Cavaglieri è un forno in estate e un frigorifero in inverno. Semplici raffreddori si trasformano in patologie croniche.

L’assistenza e la residenza impossibili I dati forniti da Cittadini del Mondo e riportati in una recentissima pubblicazione, realizzata con il sostegno di Open Society Foundations, indicano una situazione di estrema complessità. Delle persone che si sono sottoposte ad esami clinici il 24% riportava malattie all’apparato digerente, il 18% a quello respiratorio, il 17% problemi dermatologici e del tessuto sottocutaneo, il 14% malattie del sistema osteo muscolare e del tessuto connettivo, l’11% (ed è forse il dato più problematico) disturbi psichici, il 9% malattie parassitarie e infettive e il 7% complicazioni delle fasi della gravidanza. Si tenta di fare attività di prevenzione ma in un contesto, come già detto, estremamente fragile. L’unico elemento che sembra consolidarsi è quello della gestione condivisa. Gli abitanti hanno eletto un gruppo che oltre a gestire le divergenze si occupa di trovare posto a chi arriva. Sono loro a regolare i rapporti con il mondo esterno, a concordare incontri e visite, a salvaguardare quel po’ di privacy che permette di mantenere condizioni di dignità. Gli ospiti vengono prevalentemente da  Eritrea, Etiopia, Somalia e Sudan. Hanno nominato un Sindaco, attualmente di nazionalità sudanese, che funge anche da mediatore con le istituzioni locali quando si affacciano. Dopo continue richieste di intervento, nel febbraio scorso, il Sindaco di Roma, Ignazio Marino, si recò al Selam Palace e dopo di lui sono passati esponenti delle istituzioni, anche nazionali, ma il silenzio è rimasto.

terza selam palaceNel primo anno dell’occupazione circa 350 persone ebbero la possibilità di prendere la residenza al Selam Palace, in Via Arrigo Cavaglieri 8. Non si trattava di un risultato da poco perché la residenza è necessaria per l’iscrizione al Sistema sanitario nazionale. Quando i rapporti con le istituzioni cessarono, molte di queste residenze vennero cancellate. L’unica alternativa restò quella di utilizzare “residenze fittizie” presso strutture di sostegno come il Centro Astalli, la Comunità di S. Egidio, la Casa dei Diritti Sociali, situate al centro e molto distanti dal Selam Palace. Per molti anni questo ha impedito ai residenti di usufruire dei servizi presenti nel territorio. Anche iscrivere i bambini a scuola era un problema perché i bambini venivano assegnati a strutture distanti e la domanda doveva comunque essere presentata in altri municipi. E se si provava ad ottenere l’iscrizione anagrafica in Via dei Cavaglieri, questa veniva negata in quanto a quell’indirizzo risultava ufficialmente solo un passo carrabile.

Nel 2012, dopo lunghe trattative, sembrò aprirsi un varco. Ma sarebbe stato necessario, in ottemperanza alle norme burocratiche, numerare tutti gli interni, permettere l’ingresso agli operatori del Nucleo Anti Emarginazione della polizia municipale. Di fatto impossibile in un contesto in cui continuamente le persone si spostavano, si modificava la struttura dei mini appartamenti per far posto ad altri. Cavilli e richieste complesse, moduli che cambiavano ogni volta che si definivano altri piani di ridefinizione delle pratiche… Insomma un anno di duro lavoro il cui risultato è stato che solo il 22% degli abitanti stabili del Selam Palace (il 17% di quelli assistiti da Cittadini del Mondo) riuscì ad ottenere la residenza. A complicare il tutto è intervenuta la mannaia del Decreto Casa del Ministro Lupi. Il decreto stabilisce, all’art. 5 che non solo non può essere concessa residenza in uno stabile occupato abusivamente ma che vanno interrotte le erogazioni di qualsiasi tipo di utenza, come quella idrica ed elettrica. Al Selam Palace non si è ancora attuato ma la sua applicazione grava come una spada di Damocle sulla vita degli abitanti.

Ora, soprattutto nei garage e nei cortili del Selam, è un via vai continuo. Nell’ottobre 2013 sono arrivati circa 150 richiedenti asilo eritrei. Erano riusciti a non farsi identificare a Lampedusa e già a novembre erano spariti, tentando di raggiungere il Nord Europa. Con l’arrivo della bella stagione, già a metà aprile, sono cominciati ad arrivare i pullman che hanno lasciato, nel piazzale di fronte al palazzo, altre 200 persone. Erano i primi, ora gli arrivi sono divenuti quotidiani. Nel biglietto che si paga per partire dall’Eritrea – circa 2.500 euro – è compreso, oltre che il passaggio in Libia, anche l’autobus che porta in questa terra di nessuno. Si fermano poche notti, il tempo di rifocillarsi, assistiti da chi è nel Selam Palace da anni, e poi ripartono. Secondo il rapporto di Cittadini del Mondo, il 96% delle persone che sono state visitate dichiarava di trovarsi in Italia da meno di 5 giorni, in parte da poco più di 24 ore. Le donne e i bambini, in costante aumento, trovano qualche posto nelle stanze ricavate ai piani alti, gli uomini restano sotto. L’80% delle persone che arrivano hanno la pelle distrutta dalla scabbia, lesioni cutanee non curate a cui si sovrappongono infezioni batteriche aggravate dalla scarsa possibilità di provvedere alla propria igiene e al contatto continuo con la salsedine e la benzina delle barche. Il 40% – sono le nude percentuali a dare l’idea dell’ignominia che si perpetua – riporta lesioni connesse al viaggio: traumi, fratture, il 75% giunge fisicamente debilitato e denutrito. Fra questi c’era con tutta evidenza Amanuel.

Stefano Galieni