Cinema

René Vautier, regista militante

Aude Fourel - 6 Aprile 2015

René Vautier 1René Vautier veniva definito come un regista di cinema “d’intervento sociale”, un’espressione che rivendicava e che sintetizza un percorso durato 67 anni. Se ne è andato il 4 gennaio scorso, col suo carattere fatto di rigore e di contestazione, di lotta filmata e vissuta che ha trasmesso attraverso ogni sua pellicola. Il 13 febbraio gli è stato reso omaggio a Roma, nei locali dell’associazione WSP, con la collaborazione dell’associazione Marmorata 169 e della storica Valeria Deplano. Nato nel gennaio del 1928, a 15 anni partecipa alla resistenza contro l’occupazione nazista, divenendo responsabile del gruppo dei giovani del Clan René Madec. Dopo la guerra, sceglie di proseguire il suo impegno per mezzo del cinema. Nella sua intervista Le point de vue renforcé (2011), ha raccontato con umorismo e malizia i suoi anni di formazione alla scuola nazionale di cinema, chiamata allora IDHEC.

Le sue partecipazioni alle manifestazioni studentesche del dopo guerra, la sua collaborazione al film La grande lutte des mineurs di Louis Daquin (1948) e la partenza per l’Africa subsahariana a solo ventuno anni per le riprese di Afrique 50, che diventerà il primo film anticoloniale francese, fanno presto di René Vautier un difensore determinato delle lotte per l’indipendenza e contro il razzismo. Il suo impegno contro la Francia di Vichy, quella del Maresciallo Pétain e di Pierre Laval, le riprese clandestine ed epiche di Afrique 50, le condanne e il carcere, inflitti per l’unica colpa di aver girato dei film scomodi, hanno rafforzato le sue convinzioni giovanili. Gli hanno confermato la scelta, o meglio la necessità, di proporre un punto di vista non governativo, libero e convinto e che si dovesse aprire rapidamente una breccia antagonista e disobbediente nella storia ufficiale, che stava allora scrivendo la Francia coloniale e post-coloniale.

René Vautier incarna un cinema militante, a lungo censurato, frammentario e dedicato all’urgenza del racconto e alla testimonianza della collettività nella storia immediata. Come lo scrive Nicole Brenez, il cinema militante è «un territorio simbolico e inalienabile, a partire del quale la storia potrà essere stabilita. Questa autonomia non appartiene a nessuno, neanche ai popoli le cui immagini documentano l’oppressione e le lotte; tutti ne fruiscono ma nessuno ne è proprietario. Non costituisce una contro-storia, ma crea la possibilità di una storia vera». In questa prospettiva, il suo impegno contro la guerra in Algeria segna fortemente la sua vita e la sua filmografia, Vautier ha avuto anche un ruolo determinante nella nascita e nella trasmissione del cinema algerino. Nel 1951, gira un primo film in Tunisia (ancora sotto protettorato francese), Terres tunisiennes: filma l’esercito francese, la repressione feroce e le punizioni collettive. L’esercito lo ferma e l’espelle. Nel 1953, realizza Une nation, l’Algérie – film oggi introvabile – che si riferisce alla presenza, nel fondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Francia, di lettere di ufficiali dell’esercito francese scritte nel 1830, nei primi anni della colonizzazione: viene accusato, nel 1956, di attentato alla sicurezza interna dello Stato. Lo stesso anno, la Tunisia, nuovamente indipendente, lo invita a girare Plages tunisiennes.
Dal 1951 viaggia in continuazione tra la Francia, la Tunisia e l’Algeria. Le sue permanenze in Tunisia gli permettono di costruirsi contatti con i resistenti algerini. I primi scambi si svolgono nel 1955 in Tunisia e, nel 1956, Vautier decide di partire per riprendere sul fronte la resistenza algerina. Per entrare in contatto con i combattenti della zona V della Wilaya Una delle Aurès- Nementchas, organizza a Tunisi delle proiezioni di Afrique 50 e di Une nation, l’Algérie. Tunisi diventa la sua base, rifugio e luogo di passaggio verso l’Algeria e il fronte. È lì che Vautier si rifornisce di pellicole, incontra i dirigenti del FLN e organizza le riprese di Algérie en flammes.

Le riprese sono molto dure, Vautier filma i massacri dell’esercito e gli attacchi dei resistenti ed è ferito da una pallottola francese nel febbraio 1958. Ricercato dalla Francia, viene allora trasferito in Germania dell’Est (ex-DDR) con la missione di montare il film al più presto. Torna al Cairo nel maggio 1958 col film pronto, viene incarcerato a Tunisi per due anni, nelle prigioni del FLN, a causa di alcune sequenze di Algérie en flammes e dei suoi legami col Partito Comunista e con Abane Ramdane, ucciso dai dirigenti del FLN. Liberato e riabilitato nel luglio 1960, Vautier viene consacrato “primo regista algerino” durante una proiezione di Algérie en flammes, organizzata in suo onore «in un grande cinema della via Burghiba a Tunisi» (Vautier René, Caméra Citoyenne, Editions Apogée, 1998). Dal marzo 1962, poco prima della firma degli Accordi di Evian, lascia moglie e figli a Tunisi per la loro sicurezza e torna in Algeria, dove crea il Centro Audiovisivo di Algeri – Ben Aknoun e i Cine-Pop che attraverseranno il paese, proiettando dentro a dei camion i grandi classici del cinema e dando vita alla prima generazione di registi algerini.
I “film algerini” di René Vautier (oggi raccolti in un cofanetto DVDgrazie al lavoro eccezionale di ricerca delle pellicole perse, di conservazione e di diffusione (che fa sua figlia, Moïra Chappedelaine-Vautier) sono uno spazio di memoria per i partigiani e i militanti morti o vivi, ai quali la storia francese non ha dato né viso né nome.

fotogramma 2 Histoires d'images, images d'Histoire 2013René Vautier ha lottato una vita intera contro le forme di esclusione, contro il punto di vista governativo, per i diritti delle donne, con l’esigenza di un grande rigore cinematografico e di una costante inventiva formale che raddoppiavano la forza delle sue immagini; non a caso si descrivono Vautier e la sua cinepresa come “colpo di un pugno”. Spesso citava lo scrittore algerino Kateb Yacine: «Non si deve lasciare che i governi scrivano da soli la storia, i popoli devono contribuire».
Il suo ultimo film intitolato Histoires d’images, images d’Histoire (2013), corealizzato con sua figlia Moïra, è un esempio rilevante del potere delle sue immagini e dell’importanza di trasmettere la memoria delle lotte. Raccontando l’omicidio di un operaio compiuto dalla polizia nel 1950, a Brest, durante una manifestazione, denuncia le violenze poliziesche e l’onnipotenza degli Stati, protetti da leggi di censura e di silenzio e dal non dover rendere conto delle proprie colpe. Immagini che rimandano ad altre stragi come, per esempio, quella compiuta a Parigi il 17 ottobre 1961, ma anche a tante morti più recenti: da Stefano Cucchi in Italia a Rémi Fraisse in Francia.

La censura politica sul cinema, in Francia, operava a volto scoperto. È stata abolita nel 1973 dopo lo sciopero della fame di Vautier, durato trentatré giorni, in sostegno al film Octobre à Paris di Jacques Panijel, che raccontava appunto gli eventi della notte del 17 ottobre 1961, quando la polizia – diretta da Maurice Papon – ha torturato e ucciso manifestanti algerini buttandoli nella Senna. Oggi la censura ufficiale non esiste più, ma si è sviluppata in un altro modo più subdolo e ancora più ramificato. Nel libro La fabbrica del consenso Noam Chomsky spiega i meccanismi di dominazione degli Stati occidentali e dei media, così come il concetto di storia ufficiale da loro creato. Per controllare la ribellione all’autorità, controllano la mente della gente attraverso l’uniformità del discorso, l’obbedienza, la propaganda mediatica e la fabbricazione di un consenso d’illusioni necessarie. È quello che denuncia Histoires d’images, images d’Histoire: le immagini del passato diventano allora un appello alla lotta contro il sistema attuale.

Aude Fourel *

*artista e film maker, vive e lavora tra Lione e Roma. Insegna cinema sperimentale e pratiche performative. Realizza video e installazioni e si interessa da tempo alla militanza quotidiana, alle memorie censurate e al cinema militante, principalmente ai film girati durante le lotte sociali e le guerre coloniali francesi. Traduce i film ritrovati per portarli a conoscenza del pubblico italiano.