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Se la matematica è un’opinione

Sergio Bontempelli - 6 Aprile 2015

Black and white numbers backgroundLa statistica, si sa, gode di un diffuso prestigio: i sociologi e gli studiosi che «danno i numeri» – quelli che forniscono dati, che srotolano slides piene di cifre e tabelle – hanno l’aura di moderni «sacerdoti del sapere», custodi di una scienza preziosa ed esoterica.

Eppure – almeno quando si parla di immigrazione – la matematica non ci restituisce mai una fotografia esatta della realtà. Ci dà delle indicazioni preziose, certo: ma, se non sappiamo «leggerla» con la dovuta cautela, rischiamo di prendere grosse cantonate.

Quanti immigrati arrivano in Italia
Quanti immigrati arrivano ogni anno nel nostro paese? Sembrerebbe una domanda banalissima, invece la faccenda non è così semplice. Ci sono le statistiche sugli sbarchi, d’accordo: si sa che le coste del Sud Italia sono costantemente monitorate e si può supporre che le cifre fornite dal Ministero dell’Interno siano ragionevolmente attendibili. Il punto è che non tutti i migranti arrivano via mare. Anzi: quelli che attraversano il Mediterraneo sono solo una minoranza.

Sì, avete capito bene: gli immigrati, nella maggior parte dei casi, non arrivano a bordo dei famosi «barconi». E questo, gli «esperti» – sociologi e demografi – lo sanno benissimo. Di solito, le frontiere più «battute» sono quelle terrestri: si arriva con l’autobus, sbarcando alla stazione Tiburtina di Roma, oppure in treno, muniti di regolare visto di ingresso. Per quanto possa sembrare incredibile, sono questi i modi in cui gli immigrati entrano più frequentemente in Italia.
Il punto è che, se le statistiche sugli sbarchi sono mediamente affidabili, quelle sugli ingressi «via terra» – diciamo così – sono disseminate di trappole. E si rischia, davvero, di fare errori clamorosi.

Appena arrivati o «sanati»?
Già, perché molti cittadini stranieri arrivano in autobus o in treno, ma da irregolari. Oppure – caso ancora più frequente – entrano con un visto turistico, che però non consente di rimanere in Italia con un contratto di lavoro: così, alla scadenza del visto, restano qui, ma senza permesso di soggiorno. Detto in due parole, si entra da irregolari, o lo si diventa dopo un breve periodo: e dunque non si viene registrati in nessun archivio.
Poi, all’improvviso, arriva una sanatoria, una regolarizzazione, una legge che consente di ottenere i documenti. E allora chi vive già in Italia fa domanda, prende il sospirato pezzo di carta, e finalmente viene registrato nelle statistiche.

È qui che il lettore inesperto rischia di essere ingannato: perché le presenze degli immigrati aumentano vertiginosamente in un breve periodo di tempo. Si ha l’impressione di essere «invasi» da flussi improvvisi e imprevedibili: in realtà, si tratta di persone che vivevano già da tempo nel nostro paese, e che si sono semplicemente (e improvvisamente) «regolarizzate».

Chi arriva, chi se ne va…
È per questo che le statistiche sui flussi migratori andrebbero prese con molta cautela. Secondo l’OCSE e l’ISTAT, per esempio, già da qualche anno gli arrivi sono diminuiti a causa della crisi economica: o, per meglio dire, sono aumentati gli «sbarchi» di richiedenti asilo e rifugiati – che non scelgono di emigrare, ma sono costretti a farlo da guerre e persecuzioni – e si sono ridotte le migrazioni economiche, quelle di chi viene per trovare un lavoro. La cosa – intendiamoci – è assolutamente plausibile: da che mondo è mondo, le crisi provocano drastiche contrazioni della mobilità internazionale.

Il punto è che è difficile avere dati statistici sicuri e affidabili in materia. Se si prendono le rilevazioni anagrafiche degli stranieri residenti, ad esempio, si scopre che il saldo migratorio – cioè la differenza tra coloro che arrivano in Italia e coloro che se ne vanno – è drasticamente diminuito negli ultimi anni: nel 2007, si parlava di un attivo di 494.885 unità [dati ISTAT, tavola 2], mentre nel 2014 la cifra è scesa +207 mila [Indicatori demografici ISTAT, Febbraio 2015, pag. 7].

Quando ho presentato questi dati sulla mia pagina Facebook, l’amico Sergio Briguglio – che di queste cose se ne intende – mi ha fatto notare che tra il 2006 e il 2007 c’erano stati ben due «decreti flussi», con cui molti irregolari avevano ottenuto un permesso di soggiorno. E quindi è difficile capire se il dato del 2007 si riferisca a persone appena arrivate in Italia, oppure a migranti «regolarizzati».

All’inverso, chi conosce da vicino il mondo dell’immigrazione sa che molti stranieri perdono il lavoro e tornano ai loro paesi, ma fanno di tutto per conservare il permesso di soggiorno e la residenza: non si sa mai, magari la crisi finisce, e se hai un documento in tasca puoi rientrare in Italia per trovare un nuovo impiego ben pagato. Insomma, c’è un sacco di gente che se ne va, ma nelle statistiche risulta ancora presente nel nostro paese…

Un’epidemia di assunzioni…
Peraltro, le «trappole» non riguardano solo i flussi migratori, cioè chi entra e chi esce dall’Italia: molti equivoci investono anche il lavoro dei migranti. Ad esempio, sapevate che il 10 Giugno 2002 più di 700mila famiglie hanno assunto domestici, domestiche e assistenti familiari straniere (le cosiddette “badanti”)? E che il 9 Maggio 2012 è successa più o meno la stessa cosa, cioè una specie di epidemia in cui ben 135mila datori di lavoro hanno assunto – tutti insieme, lo stesso giorno – altrettanti lavoratori stranieri?

Perché proprio il 10 Giugno 2002, e il 9 Maggio 2012? Come è potuto accadere che centinaia di migliaia di datori di lavoro abbiano fatto tutti la stessa cosa, nella medesima giornata? La risposta è abbastanza semplice: in entrambi i casi era iniziata una regolarizzazione. Potevano ottenere un permesso di soggiorno solo i lavoratori stranieri assunti almeno tre mesi prima dell’entrata in vigore della relativa legge: cioè, rispettivamente, il 10 Giugno 2002 e il 9 Maggio 2012. Per l’appunto.

Nessuna epidemia, dunque. E nessuna assunzione in massa di lavoratori irregolari. In molti casi, quei lavoratori erano stati assunti prima delle fatidiche date. Oppure non erano stati mai davvero presi a lavorare: semplicemente, bisognava presentare una domanda di sanatoria, e dichiarare di aver impiegato un lavoratore a partire da un giorno preciso…

Poi ci sono le statistiche sulle partite IVA degli immigrati, o sui lavoratori domestici stranieri: ne abbiamo già parlato su questo giornale. Sembra che gli stranieri siano diventati tutti imprenditori, o tutti domestici. E invece si tratta di escamotage per rinnovare il permesso di soggiorno: uno ha perso il lavoro, e per questo rischia di diventare irregolare. E allora apre una partita IVA, o trova una famiglia che lo assume «per finta», diciamo così.

Statistiche criminali (in tutti i sensi…)
Ma le «cantonate» più grosse si prendono con le statistiche criminali, quelle che registrano i reati. Sono in molti a chiedersi se i migranti «delinquano» di più rispetto agli italiani. Come si fa a scoprirlo? Semplice: gli archivi di polizia registrano tutte le denunce presentate in un determinato arco di tempo. Basta accedere a quegli archivi, e verificare se i denunciati stranieri sono di più, o di meno, rispetto agli italiani.

Già. E tuttavia, la faccenda non è così «liscia». In primo luogo perché – lo abbiamo detto – gli archivi di polizia registrano le denunce: ma non tutte le denunce portano alla condanna e, all’inverso, non tutti i reati vengono effettivamente denunciati.

Ma non c’è solo questo. Il problema più grosso – dicono gli esperti – sta nella differenza tra reati ad autore noto e quelli ad autore ignoto. Facciamo un esempio per capirci: torno a casa, e scopro che qualcuno mi ha svaligiato l’appartamento mentre ero assente. Ovviamente corro dai carabinieri a segnalare la cosa: però non ho idea di chi possa essere il ladro, e dunque sporgo una denuncia «contro ignoti», come si dice.

Ecco, giusto per dare un dato emblematico: le denunce «contro ignoti» per il reato di furto sono più del 95% del totale [vedi fascicolo ISTAT con dati 2012, pag. 7]. Questo significa che i calcoli sui denunciati stranieri, in rapporto agli italiani, sono fatti prendendo in considerazione il 5% dei reati. Per spiegarci ancora meglio: se mi dicono che un furto su due è compiuto da cittadini stranieri, vuol dire che i migranti sono «colpevoli» del 2,5% dei furti totali. Un po’ poco, no?

Tutto questo cosa significa? Che le statistiche sull’immigrazione sono false e ingannevoli? Che raccontano solo bugie? No di certo. Al contrario, sono uno strumento prezioso per capire i fenomeni. Solo che vanno prese con la dovuta cautela: perché hanno i loro limiti, e non sono un vangelo. Tutto qui.

Sergio Bontempelli