Frontiere

La Balkan Route. E l’accoglienza fai-da-te

Galadriel (Gala) Ravelli - 10 Agosto 2015

E’ già iniziata in Ungheria la costruzione del muro anti-migranti lungo la frontiera con la Serbia, per ‘difendere’ il paese (e implicitamente anche la Fortezza Europa) dal flusso sempre più consistente di migranti che da Siria, Pakistan, Afghanistan, Eritrea, Somalia, attraversano i Balcani per raggiungere l’Europa. Un percorso lungo mesi, in genere più economico del viaggio via mare ma a volte altrettanto mortale, sebbene raramente i morti lungo la Balkan Route facciano notizia. Lo scorso 20 luglio, un migrante è morto annegato nel tentativo di sfuggire ad una pattuglia di polizia al confine tra Ungheria e Serbia. Ad aprile si diffuse in tutta Europa la notizia della morte di 14 migranti, investiti da un treno in Macedonia mentre camminavano verso la Serbia, anticamera dell’UE, dove centinaia di migranti si affidano ai passeurs per poter entrare in Ungheria

Recentemente, Amnesty International ha pubblicato un dettagliato report sulle violazioni dei diritti umani subite dai migranti lungo la Balkan Route, percorso lapidariamente definito ‘certainly not safe‘. Oltre ai respingimenti e alle detenzioni arbitrarie, costante del viaggio è la mancata accoglienza. L’Europa Orientale non solo è sempre più ostile alla presenza (transitoria) dei migranti, ma si dimostra totalmente incapace di allestire un sistema di accoglienza dignitoso. Per i migranti della Balkan Route, la porta d’Italia è il Friuli Venezia Giulia. A Gorizia, Udine e Trieste, vi è un flusso costante di profughi provenienti da Afghanistan e Pakistan, stremati dal viaggio e speranzosi di ricevere un’accoglienza spesso inesistente.

La sera del 20 giugno a Gorizia, a pochi passi dalla stazione ferroviaria, Adel, 67 anni, pakistano, si siede su una panchina, esausto. Soffre di mal di schiena, è solo ma è felice di essere arrivato a destinazione. Sa che Gorizia è sede di una delle Commissioni territoriali per l’asilo, sa che in zona esiste un CARA, vuole raggiungere l’Ufficio Immigrazione dove presentare la sua domanda d’asilo e poter finalmente avere un letto in cui riposarsi. Non sa invece che come lui quella sera a Gorizia ci sono un centinaio di migranti che da giorni, alcuni da settimane, dormono nel parco cittadino, in attesa di entrare nel sistema d’accoglienza.
Di Adel e delle altre decine di migranti che ogni settimana arrivano in Regione, non sono le istituzioni a prendersi immediatamente cura. La gestione dell’accoglienza continua a essere emergenziale: sono stati aperti dei CAS, a Udine è attiva una tendopoli, gli spazi dell’ex CIE di Gradisca (Go) sono stati adibiti a CARA: non basta, costantemente decine di richiedenti asilo (a volte anche centinaia) restano in strada. Così a Gorizia, da mesi è un instancabile gruppo di cittadini, affiancato dalla Caritas, a garantire ogni sera ai migranti rimasti fuori convenzione un pasto caldo e coperte per proteggersi dal freddo. Ai casi più vulnerabili si cerca di trovare una sistemazione, spesso accogliendo le persone nelle case private: e infatti quella sera a Gorizia, Adel non è rimasto a dormire in strada.

A Udine, l’associazione Ospiti in Arrivo è il punto di riferimento non solo per i richiedenti asilo senza dimora, ma anche per quelli attualmente sistemati nella Tendopoli presso la Caserma Cavarzerani, gestita dalla CRI. Chi è fuori accoglienza può contare ogni sera su pasti caldi e coperte. Per tutti, accolti e non, ci sono le lezioni di italiano organizzate al parco Moretti, un modo per conoscersi e sentirsi parte di una comunità, fattore cruciale per chi da mesi è lontano da casa. Tra la frustrazione per la passività istituzionale, il razzismo populista veicolato dai media, i provvedimenti ostili dei Sindaci (a Gorizia è stata emanata un’apposita ordinanza anti-bivacco contro i profughi), in questi mesi gli abitanti solidali di Gorizia e Udine hanno silenziosamente dimostrato che l’Europa dei muri ha nei suoi cittadini il suo nemico più grande.
Gli altri paesi attraversati dalla Balkan Route non sono da meno. A Budapest e Szeged , in Ungheria, i cittadini si sono organizzati in gruppi più o meno informali per garantire alle centinaia di migranti accampati nei parchi cibo, vestiti, ma soprattutto la possibilità di sentirsi accolti in un paese noto per le sue politiche respingenti. Il 14 luglio, una colorata manifestazione ha attraversato le vie del centro di Budapest per dire ‘no’ al muro voluto dal premier Orban.
A Belgrado, nel parco davanti alla stazione degli autobus, centinaia di migranti sono accampati in attesa di proseguire il proprio viaggio. Come denuncia No Border Serbia , la loro presenza viene osteggiata dalle autorità: la polizia, spesso con l’uso della forza, cerca di mantenere sgombra l’area, perché nessuno possa vedere che persino le famiglie vengono lasciate per strada. Da circa due mesi, ogni sabato, No Border Serbia organizza ‘Caj a ne granice!’ (Tè, non frontiere!), iniziativa solidale con i migranti accampati al parco, durante la quale vengono raccolti i generi di prima necessita’ donati dai belgradesi. Sorseggiando il tè ci si conosce, si ascoltano i racconti di viaggio dei migranti, delle violenze subite dalle polizie di diversi stati.

Se le risposte spontanee non possono certo essere l’unica soluzione ad una questione umanitaria, esse hanno il merito di proporre e raccontare un’altra Europa. A Belgrado, a Budapest, a Gorizia e a Udine, di fronte alla lampante inefficienza delle istituzioni, che in molti casi è aperta ostilità, la risposta umana di movimenti, associazioni e semplici cittadini è creare spazi di socialità, solidarietà, incontro. Laddove la propaganda anti-migranti è istituzionale (come nel caso ungherese) o è legittimata a partecipare al dibattito politico (come nel caso della Lega Nord in Italia), le iniziative dal basso raccontano un continente diverso, che ha disperatamente bisogno di ponti, non di muri.

Galadriel (Gala) Ravelli