Cheik Anta Diop e i video rap

L.M. - 18 Novembre 2010
Dakar-Clandò
La rubrica di Chiara Barison
Quando la riappropriazione storica passa attraverso l’informatica. La storia di Demba

DAKAR (SENEGAL). Incontro Demba per caso. Come accade di frequente la mia poca praticità nell’utilizzo del computer mi porta ad avere problemi, spesso e volentieri.

E’ accaduto anche poche settimane fa con il mio programma per il montaggio video. Ho chiamato subito Babacar, un mio vicino di casa e amico, nonché professionista nell’ambito audio-visuale. Lavora a Canal info, primo canale senegalese dedicato completamente all’informazione. Dopo due ore passate a cercare di capire qual’era l’origine del problema audio legato al mio ultimo documentario, all’improvviso Babacar mi dice ‘aspetta, ho un amico che abita poco lontano e che è un piccolo genio dell’informatica. Lui sicuramente potrà risolvere il problema’. Una telefonata veloce e via, verso casa di Demba. Babacar aveva ragione, Demba abita proprio dietro casa, in un appartamento all’ultimo piano di un immobile nuovo. La vista sull’oceano che si vede dalla terrazza è magnifica. Anche l’appartamento è bello e l’arredamento è differente dallo stile ‘Moira Orfei’ a cui Pikine mi ha abituato. ‘Sono io che ho disegnato gli interni della mia casa’ mi dice subito dopo Demba ‘mi piace essere particolare e creare le cose secondo il mio gusto’.
Si vede subito che Demba è un artista, ride tutto solo e parla ininterrottamente di tutto e di più, fumando di tanto in tanto una sigaretta. Prende il mio computer e comincia a dare un’occhiata per vedere ciò che non va. Mi piace il suo analizzare e lo spiegarmi passo passo cosa sta facendo. E’ semplice, logico e lineare nelle spiegazioni ed anche le cose più complesse diventano quasi banali, grazie alle sue descrizioni elementari ma estremamente minuziose.
Ne approfitto per fargli qualche domanda. Demba è lo specialista multimediale dell’Unesco in Senegal, produttore video, regista, tecnico informatico, web master. ‘Quando sono usciti i primi portatili me ne sono fatto regalare uno e mentre i miei amici passavano le giornate al mare io me ne stavo chiuso in casa a cercare di capire cos’era possibile fare con questa macchina curiosa’ mi racconta. Poi continua ‘E’ così che mi sono formato, da autodidatta. Ho cominciato come tecnico per diventare poi web master e specializzarmi in seguito in video di rap senegalese’.
‘Ti dà da vivere bene il tuo lavoro?’. Demba si accende una sigaretta e scoppia a ridere ‘quando cinque anni fa sono andato a chiedere il visto per gli Stati Uniti, dove volevo seguire un master, me lo hanno rifiutato perché dicevano che c’era qualcosa di sospetto nel mio conto. Per loro era impossibile che qualcuno di 28 anni avesse così tanti milioni, semplicemente lavorando qui’. ‘Come hai reagito?’ gli chiedo ‘L’ho mandato a fanculo e ho ripromesso a me stesso che non mi sarei più umiliato per andare a chiedere un visto all’ambasciata americana. Per partire dovranno essere loro a portarmelo fino in casa e siccome so che non succederà mai, credo che il mio viaggio per gli USA sarà rimandandato a tempo indeterminato’.
Demba ha un’intelligenza fuori dal comune, me ne accorgo chiaccherando con lui. Ha solo 33 anni ma ha già costruito un piccolo impero. Il suo nome gira negli ambienti del multimedia ed è lui il migliore di tutta l’Africa occidentale. ‘In passato pensavo che fossimo noi senegalesi i dinosauri dell’informatica, invece quando ho cominciato a dare corsi in Svezia, Francia e Germania, dove grandi menager sedevano di fronte a me, mi sono reso conto che siamo globalmente ignoranti’ poi continua ‘e che anche noi africani, se imparassimo cosa vuol dire professionalità, potremmo essere coloro i quali hanno qualcosa da dire, proporre, insegnare’.
Nel giro di poco tempo Demba trova il problema, un tasto schiacciato senza rendermi conto, un errore banale davvero. Ride e mi dice ‘anche tu sei un dinosauro del montaggio’. In effetti Demba non ha tutti i torti. All’improvviso il mio occhio cade su un libro che Demba ha sulla scrivania, è un libro di Cheikh Anta Diop. Lo prendo e con grande stupore vedo che è un lungo e dettagliato paragone tra i geroglifici egizi e la lingua wolof delle origini. I significati delle parole sono praticamente gli stessi. ‘Hai visto?’ mi dice ‘la lingua wolof è la madre di tutte le lingue. Allo stesso modo la civiltà africana è la madre di tutte le civiltà’. Demba è un giovane senegalese fiero del suo paese, del suo continente. Un logico, figlio del pensiero di Cheikh Anta Diop che lui stesso mi descrive: ‘Cheikh Anta Diop non ha influenzato solo i senegalesi. E’ stato un personaggio mondiale. Non appartiene dunque solo ai senegalesi, ma a tutti. A lui è attribuita la scoperta del carbone 14, ma non è solo questa l’importanza della sua figura. E’ attraverso questa scoperta che Cheikh Anta Diop ha potuto datare lo scheletro più antico e da questo è potuto poi risalire alla conclusione che questo scheletro veniva dall’Africa. Cheikh Anta Diop ha insegnato alle persone a riflettere. I senegalesi hanno imparato da lui a ragionare e soprattutto ha dimostrato alle persone che coloro i quali erano da sempre stati trattati come bestie, come nulla, gli africani, erano invece la base della civiltà. La civiltà africana è la base della moderna civiltà perché tutto è partito da un punto per arrivare ad un altro ed è in perpetua espansione, cambiamento, sviluppo. Ci si migliora di giorno in giorno, ma le fondamenta sono africane perché i primi uomini, le prime civiltà, la prima lingua sono nate in Africa. Ed è questo che Cheikh Anta Diop ha voluto far venire fuori. Lui ha voluto dimostrare agli africani la loro importanza nella storia’.
‘Cosa pensi della colonizzazione?’ gli chiedo curiosa.
Ride ancora. Stà in silenzio un attimo e poi sospira: ‘Ah! Una delle cose peggiori che ci è arrivata. E’ a causa della colonizzazione se siamo in questa situazione catastro

fica. C’è stato il periodo della schiavitù prima. La colonizzazione è una continuazione di questo periodo. Cos’era avvenuto? Sono arrivati e hanno scelto gli uomini più giovani, più forti e hanno lasciato qui gli anziani, i bambini e i malati. Subito dopo sono tornati armati, con i cannoni e i fucili per invadere e colonizzare un continente. Una vera strategia da vigliacchi. Quando se ne sono andati, anzi, scusa, quando hanno fatto finta di andarsene, hanno lasciato qui le basi della forma peggiore di schiavitù. La schiavitù intellettuale, mentale. All’epoca venivano a rubare degli schiavi, d’accordo. Oggi gli schiavi pagano per andare a fare gli schiavi da coloro i quali sono stati i colonizzatori. (ride) Capisci cosa voglio dire? Oggi un senegalese risparmia per degli anni, lasciando un lavoro in un ufficio dove guadagna 150.000 CFA (230 euro) al mese, per prendere una piroga, con tutti i rischi che il viaggio comporta e per cosa? Per farsi trattare da schiavo in un altro paese. E che cosa spinge una persona a compiere un gesto simile? E’ a causa della colonizzaziane, a causa della schiavitù mentale e intellettuale di cui parlavamo prima. La televisione che non smette di ricordarci di quanto noi siamo inferiori ai toubab perché tutto quello che ci viene mostrato rispetto all’Occidente è quanto tutto sia bello, perfetto, pacifico mentre quando mostrano l’Africa è la miseria, bambini che piangono, che muoiono di fame. Il loro gioco sporco è di alienare le persone al punto che tutti qui pensino che sia impossibile realizzarsi in Africa, al contrario, se si parte sì, questa possibilità diventa concreta. C’è ancora il ‘sogno americano’, l’El Dorado e le persone si gettano nel mare. E come gli schiavi di una volta partono con le navi, gettati in mare, stremati e morti, come secoli fa. Solo che oggi sono loro che lo scelgono’.

Fa davvero impressione pensare alla migrazione sotto questo punto di vista, eppure Demba ha ragione. La schiavitù mentale che è stata fatta nei secoli ha davvero contribuito a creare un’identità come quella senegalese attuale debole, fragile, succube dell’influenza occidentale. Continua Demba, ‘Bob Marley cantava ‘emancipate yourself from mental slavery’ ed è esattamente così. Oggi sei obbligato a comportarti, ad agire e a riflettere come i coloni per adattarti al loro modello, per poter entrarvi. Il ruolo della colonizzazione è stato questo, influenzare le mentalità e dirigere le persone ad agire come i coloni volevano. Fino ad oggi. D’altronde dobbiamo comprare tutto ciò che loro ci vendono. Ci hanno lavato il cervello al punto che pensiamo solo a comprare ciò che arriva da fuori piuttosto che produrre, perché quando mi dicono che un pollo che arriva dal Belgio dove non so com’è stato trattato è migliore del mio pollo che io stesso ho allevato nel mio cortile, evidentemente c’è un problema, c’è qualcosa che non va perché dimentichiamo ciò che siamo, il nostro valore, le nostre capacità. E questo perché? Perché non sappiamo nulla, non siamo istruiti. A scuola ci insegnano la storia della Francia, la rivoluzione francese, di cui in tutta franchezza non me ne può fregar di meno, questo è quello che ci insegnano. Come si può pretendere allora che ci sia sviluppo, crescita se le persone non sono istruite, non sanno cosa fanno. E’ difficile.’
‘Come pensi la presenza francese abbia influito sulla mentalità senegalese?’ chiedo curiosa.
‘I coloni hanno fatto finta di partire, hanno fatto finta di darci l’indipendenza. Sono partiti ma hanno lasciato altri bianchi, altri francesi e queste persone non hanno fatto altro che continuare a dirigere gli stati e a ricordare la loro presenza. Il che vuol dire che se perfino il presidente si sente inferiore rispetto ad un semplice ambasciatore, il popolo, come potrà sentirsi di fronte a queste persone? Impotenti, deboli ed è così che sono i senegalesi, deboli. Fanno tutto per soddisfare l’altro. La prova è quando qualcuno decide di sviluppare un prodotto. Ti faccio un esempio nell’ambito hip hop. Un rapper sarà impaziente di far uscire un album per poterlo vendere all’estero, perché possa andare bene fuori dal paese. Il suo obiettivo sarà dunque di fare un prodotto simile a ciò che all’estero viene fatto in modo che possa funzionare lì perché l’idea è che se non ci riuscirà non potrà mai avere una super carriera d’artista, avere soldi, avere una casa, ecc. Ma è vero? Questa è la domanda che ci facciamo. Io non ho un livello di studi altissimo e non sono nemmeno partito all’estero per cercare fortuna. La fortuna l’ho cercata qui e in tutta onestà, farai dieci, vent’anni all’estero prima di mettere via ciò che io ho messo via. Non ho nulla da invidiare a nessuno e dal 2003, 2004 ho deciso che tutti i miei prodotti sarebbero stati locali, perfino il mio raggio di vendita, locale. E questo per mostrare alle persone che ci si può realizzare anche qui, che si può vendere anche qui, che si possono fare i soldi anche qui. Prendiamo l’esempio di Yossou’N’Dour. Youssou’N’Dour ha fatto dieci anni di carriera in Senegal, di concerti in cui ha riempito degli stadi, in Senegal. Dieci anni di pienoni. Ed è solo in questo momento che ha cominciato ad andare a riempire uno stadio all’estero, che ha cominciato a dire che il suo prodotto funziona anche all’estero. La particolarità che dobbiamo sottolineare è che dobbiamo vedere chi sono i consumatori del suo prodotto. Non sono gli occidentali, i toubab ma i senegalesi che abitano a Parigi, Marsiglia, Milano, Brescia che si sposteranno per riempire uno stadio in una città europea. Questo significa che è rimasto in qualche modo nel suo raggio di vendita locale. Questo vuol dire che se non funzioni nel tuo paese non puoi funzionare da nessuna parte altrove. Ed è questo che le persone non percepiscono e che in qualche modo da loro una percezione distorta della realtà. L’illusione della riuscita all’estero’.
Demba accende il pc e mi mostra i corsi di informatica che ha preparato e che sono stati fatti passare regolarmente alla TV nazionale ed alcuni video fatti per artisti rap locali. Tutto è davvero fatto bene. Lo guardo e penso che Demba rappresenta la vera Rinascita Africana, la presa di coscienza da parte dei giovani africani del valore storico, tradizionale e culturale che si portano dietro; la presa di coscienza della schiavitù intellettuale a cui sono stati vincolati per secoli e da cui si stanno staccando proponendosi come alternativa valida al modello occidentale imperante; un senegalese che si ingegna per creare un prodotto locale che possa essere competitivo a livello globale .
Il mio premere un tasto distrattamente mi ha portato a questo incontro davvero sorprendente.
Gli faccio l’ultima domanda ‘cosa pensi delle frontiere?’. Demba continua a giocare con la testiera e a cercare su google qualcosa ma risponde subito ‘Ascolta, non esistono frontiere in realtà. Le frontiere che gli uomini attraversano sono una costruzione politica che i governi hanno creato per fare soldi e per avere un minimo di controllo su il va e vieni ma pensiamo alle persone che abitano attorno a queste frontiere, per esempio chi vive in Casamance. Ecco, loro entrano in Gambia come gli pare e piace. Non ci sono neppure frontiere visibili. Io sono stato in un villaggio al confine e sceso da una duna ti dicono che sei in Gambia. Prendi per ese

mpio la frontiera tra il Senegal e la Mauritania tante famiglie si sono trovate all’improvviso separate, con una casa da una parte e una casa dall’altra del fiume. Queste persone, fino ad oggi, si alzano la mattina per andare a coltivare i terreni in Mauritania e anche, tanto per ridere, dopo pranzo, la gente va a comprare lo zucchero per fare il tè sempre dall’altra parte del confine. Questo per dire che non ci sono frontiere. Un passaggio messo lì esiste solo per fare soldi e per stancare le persone. E le persone fanno finta che esistano porte lì dove non ce ne sono. Per me non esistono frontiere. Per esempio la tua frontiera potrebbe fermarsi davanti casa tua. La porta di casa tua potrebbe essere considerata una frontiera, se no, la terra non ti appartiene, nessuno spazio ti appartiene. Se poi tu decidi di tracciare una linea e dire qui è mio e tu non puoi entrare è una presa in giro’.

Le frontiere, un’enorme presa in giro. Davvero. ‘Vieni qui’ mi dice Demba ‘guarda, questa è casa tua’
Per un momento sgrano gli occhi, sulla mappa che compare nello schermo del suo computer si legge chiaro il nome della mia via e si intravede il municipio. Ho quasi paura della potenza dell’informatica’. Demba ride. E io pure. Il Senegal è davvero una bella scoperta, una scuola che nessuna università potrà eguagliare.

Per visitare uno dei siti creati da Demba: http://www.boyjump.sn/

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