Marocco: a Fez tremila in piazza per il Maghreb e contro il regime corrotto (video)

L.M. - 21 Febbraio 2011

Hanno chiesto libertà e giustizia, ma anche una Costituzione democratica, lavoro e mantenimento del potere di acquisto dei salari. Tra i manifestanti soprattutto studenti, ma anche famiglie

FEZ (Marocco). Hourria e ahadalà, libertà e giustizia in arabo, sono gli slogan che suonano più spesso, mantenimento del potere d’acquisto dei salari, lotta alla disoccupazione e costituzione democratica, le richieste di fondo, nessun attacco al re Mohammed VI, ma piuttosto al regime corrotto.
In tremila hanno sfilato a Fez, la terza città del Paese per numero di abitanti, dopo essersi ritrovati in circa 300 alle 10 del mattino di ieri a Place Florence, nell’avenue Hassan II, e aver coinvolto, in un corteo che ha attraversato tutto il camminamento del vialone, la gente che stava ai margini a guardare. Bordate di fischi sono partite verso gli edifici governativi, le banche, la sede della 2M, una catena televisiva controllata dal regime, e la Prefettura dove un uomo ha sventolato la fotocopia del ritratto di un ragazzo. Gli domando di chi si tratta. “È uno studente della città Sidi Mohammed Ben Abdelal che è stato arrestato e incarcerato dalla polizia e di cui non si sa più niente”.

A manifestare erano soprattutto studenti, anche se nel corteo erano presenti intere famiglie con bambini e in abiti tradizionali, qualche donna, soprattutto ragazze, e molti poliziotti in borghese, intenti soprattutto a tenere d’occhio i giornalisti locali e l’unico straniero presenti. Poche decine di agenti in tenuta antisommossa disposti davanti agli edifici governativi sono stati sufficienti a controllare una manifestazione pacifica, e che non ha avuto nessun momento di vera tensione. A organizzarla diverse organizzazioni di studenti universitari, che nei giorni scorsi hanno pubblicato sui loro blog le adesioni di varie Ong locali, e anche di un’associazione islamica, “Spiritualità e Giustizia”, assente, poi, o quanto meno non visibile, nel corteo. La manifestazione si è conclusa verso le 15, a Place Florence, il punto di partenza, con un’assemblea pubblica.

Le manifestazioni, che sono avvenute in tutto il Marocco sull’onda di quelle nel resto del Maghreb, hanno preso il via dall’appello su Facebook di Oussama el Khlifi, un blogger di 22 anni, diplomato in informatica e disoccupato. Il primo appello era per il 27 febbraio, ma quando Oussama e gli altri promotori si sono accorti che il 27 coincideva con l’anniversario della proclamazione della Repubblica Democratica Araba Sahraouie (1976), le hanno anticipate, anche sulla base della risposta della rete, al 20 febbraio. Mohamed è uno dei leader della manifestazione di Fez. Ha 24 anni, è laureato in lingue ed è disoccupato. In un inglese fluente mi racconta che “questa manifestazione è di solidarietà con quelle tunisine ed egiziane”. Si tratta di una manifestazione organizzata in totale assenza di indicazioni precise in cui le informazioni (sul luogo e l’ora del ritrovo) sono state diffuse attraverso il passaparola delle associazioni di studenti universitari e sui social network. “La situazione di ingiustizia in Marocco è la stessa di tutto il Maghreb – spiega Mohamed – e occorre un cambiamento di regime”. Anche in Marocco, infatti, gli studenti dissidenti (socialisti e comunisti) vengono incarcerati. “Le manifestazioni di universitari ci sono ogni giorno, e – aggiunge – il 28 dicembre 2008 durante scontri con la polizia uno studente è stato ucciso a Marrakesh. Le carceri marocchine ospitano molti prigionieri politici, in particolare studenti. Davanti a fotografi e telecamere la polizia non muove un dito, ma quando lasceremo la manifestazione ce la faranno pagare”.
Yaya Zino ha 40 anni e insegna inglese in un liceo. Mi spiega che in Marocco sono indispensabili una serie di riforme democratiche, che servono opportunità di lavoro e che la corruzione del regime è ormai insopportabile. Mi racconta che un insegnante prende tra i tremila e i 10 mila dirham al mese (dai 300 ai mille euro al mese) e che dopo anni di crescita, ora il Marocco sta soffrendo la stessa crisi dovuta alla globalizzazione di tutto il resto del mondo. La privatizzazione in corso del sistema scolastico e del sistema sanitario sta creando ulteriori problemi ai conti delle famiglie.
Il governo marocchino, anche sull’onda di quanto capitato ai suoi confini, in queste settimane ha calmierato i prezzi dei generi alimentari di base, della benzina e del gas da cucina, stanziando subito 17 miliardi di dirham (un miliardo e mezzo di euro circa), a cui se ne aggiungeranno quasi altrettanti nel corso dell’anno, pari al 4% del Pil marocchino, per una crescita prevista nel 2011 del 5 per cento. Allo stesso tempo, nei giorni scorsi, il primo ministro, Abas el Fassi, e il ministro degli Interni Taieb Charkaui, hanno convocato tutti i leader dell’opposizione parlamentare in estenuanti riunioni per spingerli a prendere posizione contro le manifestazioni previste, suggerendo loro di utilizzare anche Facebook e YouTube. Oltre all’appello via Fb, infatti, queste manifestazioni sono state promosse da un video che su Youtube ha avuto decine di migliaia di visite in cui uomini e donne, per lo più giovani, una sola donna velata, inquadrati uno per uno in primo piano, spiegano pacatamente per quale motivo hanno scelto di manifestare il 20 febbraio. Di fatto, comunque, nessuno dei partiti presenti in parlamento ha aderito alle manifestazioni di domenica scorsa.
Il Marocco è un regno, la cui famiglia reale, secondo la tradizione, discende direttamente da Maometto. Il re è Mohamed VI, detto il “re dei poveri” perché nel corso del suo regno ha realizzato alcune misure a favore delle classi più umili, particolarmente importante il programma di elettrificazione di tutto il paese, in stadio avanzato. 34 milioni di abitanti, il 28.7% della popolazione ha un’età compresa tra i 14 e i 29 anni, l’età media è di 26.5, il reddito pro-capite è di 2053 euro l’anno, la disoccupazione è al 10%, il tasso di alfabetizzazione è del 52.3%, il 99% della popolazione è di religione musulmana (dati El Pais).
Marco Grana, Redattore Sociale