Profughi negli alberghi di Napoli, un'emergenza pronta a esplodere

L.M. - 1 Novembre 2011
I profughi ospitati negli alberghi napoletani a ridosso di piazza Garibaldi restano da mesi senza alcun tipo di assistenza. Anche il vitto lascia a desiderare. La Cgil immigrazione punta l’indice contro la gestione della Protezione Civile: «Hanno creato una situazione esplosiva». E alcuni raccontano di raggiri subiti da speculatori.
Iacuba, 24 anni, fuggito dal Ghana perché destinato al sacrificio per la morte del nonno, capo tribù e Mustapha, tuareg, in Libia fin da bambino, obbligato a combattere per il governo e fuggito dai ribelli che volevano sgozzarlo e hanno ucciso la moglie e i 2 figli, sono 2 degli 850 profughi provenienti da Lampedusa e accolti negli hotel della stazione di Napoli. Sono 2.500 sul territorio regionale e saranno 5.000 entro la fine dell’anno.
I profughi girano per piazza Garibaldi senza attività da svolgere e senza sapere quale sarà il loro destino. Di fatti gli hotel deputati a divenire CARA (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo) dalla Protezione Civile, delegata dal Governo ad occuparsi dell’emergenza umanitaria, non forniscono che vitto e alloggio, spesso di pessima qualità, senza alcun servizio di mediazione linguistica, né di orientamento legale, né supporto psicologico, assistenza sanitaria ed attività ricreative come previsto dall’ordinanza ministeriale per l’emergenza umanitaria. Abbandonati a sé stessi, i richiedenti asilo non sono minimamente avviati ad un percorso di inserimento socio professionale, al contrario di quanto avviene in altre regioni italiane che hanno organizzato tavoli di concertazione tra istituzioni locali e cooperative sociali per offrire tutti i servizi di prima e seconda accoglienza ai profughi. Da giugno scorso, i profughi dormono e mangiano in 4 in camere spesso piccole e prive di aria condizionata e viene offerto loro cibo insufficiente o vecchio.
«Cambiano gli asciugamani ogni 10 giorni e il cibo provoca il mal di pancia. Nessuno della Protezione Civile parla con noi dei nostri problemi» commenta Luis del Mali ospitato nel fatiscente Milton di Napoli.  All’Hotel De Stefano a Melito hanno esposto il cartello: «Se non vi piace il cibo italiano potete andarvene».
«Il cibo era marcio», sottolinea Joseph, nigeriano, che ha vissuto all’Hotel Prati con altri 55 fino alla settimana scorsa ed in seguito alle proteste è stato sloggiato con tutti gli altri. «Alcuni ospiti sono stati spostati a Casoria in 7 in una stanza: di male in peggio. Venti profughi di Grottaminarda hanno ottenuto il diniego dello status di rifugiato dalla Commissione di Caserta e hanno vandalizzato la hall dell’hotel. In altri centri si stanno preparando scioperi della fame. La gestione della Protezione Civile è pessima e la situazione è esplosiva» dichiara, senza remore, Jamal Qaddorah, responsabile delle politiche per l’immigrazione della Cgil Campania che per supplire alle carenze del piano di accoglienza tiene corsi di italiano per 600 profughi in alcune scuole nei pressi di piazza Garibaldi. Non possono sfruttare la medesima opportunità i profughi alloggiati nelle altre località campane sia per i corsi di lingua previsti nei CARA sia per l’assistenza sanitaria, per ottenere la quale affollano l’ambulatorio per immigrati dell’ospedale Ascalesi di Napoli.
Il piano di emergenza umanitaria stabilisce un costo di circa 80 euro pro capite al giorno per l’assistenza dei profughi, di cui 47 euro vanno agli hotel per il costo di vitto e alloggio che nella maggior parte dei casi è pessimo. «Per noi operatori alloggiare i profughi è una manna dal cielo in tempi di crisi e con l’immondizia che ha tenuto lontani i turisti» ammette Fulvio Catuogno dell’Hotel Cavour di piazza Garibaldi, un’eccezione per la cura con cui si occupa degli 87 ospiti. «Gli abbiamo dato scarpe e vestiti perché la Croce Rossa li ha distribuiti solo recentemente e in parte sono inadeguati alla temperatura che si sta abbassando. Li accompagniamo a fare gli occhiali e anticipiamo il costo del ticket per i medicinali poiché molti non hanno ancora ricevuto il libretto sanitario dalla Protezione civile».
Senza soldi i migranti sono impossibilitati a comprare generi di prima necessità e in particolare ricariche telefoniche essenziali per contattare familiari sopravvissuti in Libia: avrebbero diritto ad un ticket giornaliero di 2,50 euro da spendere nei negozi convenzionati con la P.C., ma in 3 mesi hanno ricevuto solo 10 ticket pari a 25 euro. E’ così che scavano nell’immondizia per cercare vestiti, scarpe da indossare o da vendere. E al danno si somma la beffa dei negozianti che lucrano sulle loro disgrazie: «i negozi convenzionati più vicini per le schede telefoniche sono a Melito o Caserta e non possiamo raggiungerli senza soldi, così il negozio “Margherita” nei pressi della stazione ci ha cambiato 10 ticket (del valore di 25 euro) con 10 euro con cui abbiamo comprato una scheda telefonica» dichiara Moussa, senegalese. In più i negozi convenzionati hanno rialzato i prezzi quasi del 50% rispetto ai negozi adiacenti e su una spesa inferiore a 2,50 euro non danno resto.
Sulla testa dei profughi intanto pende la spada di Damocle del riconoscimento dello status di rifugiato non hanno come dovrebbero l’assistenza legale per fare ricorso in caso di diniego. «Alcuni di quelli giunti a Napoli che si sono rivolti a noi per un aiuto hanno dichiarato di essere stati identificati dalla Questura che, in opposizione alla convenzione di Ginevra, ha comminato loro un articolo 10 bis, reato di clandestinità. Solo in seguito ha formalizzato la richiesta di asilo. Ma questa, collegata al 10 bis, qualora venisse rigettata determinerebbe un’espulsione giudiziaria immediata. E’ gravissimo trattare i profughi da criminali invece di tutelarli» denuncia Marika Visconti, presidente dell’associazione L.E.S.S. Onlus responsabile del progetto I.A.R.A. (Integrazione e Accoglienza per Rifugiati e richiedenti Asilo).
«La percentuale di accoglimenti si è abbassata dal 50 al 40%. Temiamo ingerenze governative sul lavoro delle Commissioni territoriali, dall’esperienza dei 97 dinieghi su 98 istanze presentate dai tunisini rinchiusi nell’ex caserma dell’Andolfato» sottolinea Cristina Passacantando, referente dell’area legale della rete Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati). «Se avremo il diniego fuggiremo, non abbiamo scelto di venire qui, ma non possiamo tornare nel nostro paese» spiega con lucidità Issah del Ghana. «Vogliamo lavorare, ma senza documenti faremo l’elemosina o saremo costretti all’illegalità».
E accanto ai profughi si mobilitano oltre i sindacati e le associazioni anche i volontari che stanno collaborando con la Cgil allo sportello di tutela legale e all’organizzazione e gestione di corsi d’italiano ed hanno creato “Garibaldi 101″; «scopo dell’associazione è tutelare e favorire un tipo di educazione interculturale che valorizzi differenze e punti di convergenza tra culture. Abbiamo costruito un’impalcatura fatta di sedici sezioni, per corsi di italiano di livelli e con scopi differenti, dall’alfabetizzazione base a corsi utili a conseguire la licenza media italiana. Il contatto quotidiano con le persone ci ha permesso di aprire uno squarcio sullo stato reale dei fatti: questi esseri umani sono scaraventati in una situazione di precaria attesa e prospettive opache da mesi oramai. Al di là delle singole responsabilità nella gestione dell’accoglienza, è lo stesso impianto di base a dover essere seriamente ridiscusso e messo sotto controllo. A tal fine perseguiremo insieme ad altre realtà presenti sul territorio tutte la strade possibili, funzionali al miglioramento della situazione» chiarisce Stefania Abbate.
«L’Italia ha preso l’impegno di risolvere l’emergenza umanitaria» conclude Jamal. «Andrebbe concesso a tutti lo status di rifugiato umanitario».
Alessandra Del GiudiceNapolicittàsociale