Roma

Cie di Ponte Galeria: internati oltre 800 cittadini europei in due anni

Corriere Immigrazione - 23 Maggio 2012
Si tratta di romeni, rinchiusi per pericolosità sociale. Sono la terza nazionalità dopo tunisini e nigeriani. Numeri così alti configurano un potenziale abuso. Tante anche le vittime di tratta. Il rapporto di Medu Cie di Ponte Galeria
Centinaia di europei vengono rinchiusi ogni anno nel centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria, il più grande d’Italia che si trova alla periferia sud est di Roma. Si tratta di romeni. Sono stati 304 nel 2011 e 516 nel 2010 (rispettivamente la terza nazionalità più presente dopo Tunisia e Nigeria nell’anno passato e la prima nazionalità a essere internata nel Cie due anni fa).
È uno dei dati più sorprendenti contenuti nel rapporto “Le sbarre più alte” realizzato dall’Ong Medici per i diritti umani sul Cie della capitale, in seguito a una visita effettuata il 22 febbraio scorso nell’ambito di un progetto di “Osservatorio” dei Medu e della campagna LasciateCIEntrare. I Cie infatti dovrebbero servire a rimpatriare gli immigrati irregolari provenienti da paesi non comunitari. Le persone che arrivano da paesi dell’Unione europea possono essere internati solo per particolari motivi di ‘pericolosità sociale’. Si configura dunque un uso molto esteso di questa misura eccezionale. I dati sono stati forniti all’Ong direttamente dalla prefettura di Roma.
Il Cie può ospitare 354 persone, di cui 176 uomini e 178 donne. Vi è anche una piccola sezione (6 posti letti) destinata ai trattenuti transessuali che però non è mai stata resa funzionante. La media di presenze nel centro si attesta intorno alle 240 unità. La maggior parte dei trattenuti uomini proviene dall’area del Maghreb ma vi è anche un numero rilevante di cittadini comunitari, in particolare rumeni. Tra le donne, la nazionalità di gran lunga più presente è quella nigeriana. Secondo i dati della Prefettura, le nazionalità più rappresentate nel corso del 2011 sono state nell’ordine: Tunisia, Nigeria, Romania, Marocco e Algeria. Si conferma, come nelle precedenti visite, la presenza di un elevato numero di trattenuti provenienti dal carcere (80%) tra gli uomini e di vittime della tratta a scopo di prostituzione (80%) tra le donne. Tra loro, pochissime denunciano gli sfruttatori e usufruiscono del permesso di soggiorno per protezione sociale (ex articolo 18) che permetterebbe a queste donne di uscire dal Cie. Secondo l’Ong “Appare, inoltre, del tutto improprio, il trattenimento all’interno del CIE di donne potenziali vittime di tratta, in quanto tale struttura non è evidentemente il luogo adeguato per avviare gli opportuni percorsi di assistenza e protezione sociale a favore di persone particolarmente vulnerabili”.
Sono poche le donne che richiedono di accedere alle misure di protezione sociale per le vittime di tratta, rispetto a quante ne avrebbero potenzialmente diritto. Secondo il dossier “ciò si verifica anche a causa dei condizionamenti ambientali all’interno del centro ove spesso le vittime si trovano a subire una situazione di convivenza e di controllo da parte di persone responsabili o coinvolte nel loro sfruttamento. Le stesse operatrici sono state inoltre testimoni di casi di donne che dopo aver denunciato la propria condizione di sfruttamento presso commissariati e stazioni di pubblica sicurezza sono state successivamente tradotte nel Cie”.
Raffaella Cosentino,
Redattore Sociale