Alain De Benoist e Magdi Allam

Le idee fuori posto

- 26 Maggio 2013

Il rifiuto del meticciato e la cristallizzazione delle culture: sono i capisaldi del razzismo differenzialista. Goffamente applicato dal fu Cristiano nazionale.

Ci sono, come è noto, diversi tipi di razzismo. Uno, poco conosciuto, che riesce talvolta a passare come una proposta quasi ragionevole, ma in realtà ha un potenziale altamente pervasivo e distruttivo: è il razzismo differenzialista, che rimanda alle idee elaborate, a partire dalla fine degli anni Settanta, dal filosofo francese Alain de Benoist. A darci lo spunto per parlarne, l’ineffabile Magdi fuCristiano Allam che, lo scorso 6 maggio, ha lanciato (per la verità con scarso successo) una petizione per chiedere le dimissioni dell’attuale Ministro dell’Integrazione sulla base della seguente motivazione: dichiarando in un’intervista di sentirsi italo-congolese, Cécile Kashetu Kyenge avrebbe «giurato il falso, infatti per poter servire l’interesse esclusivo della nazione italiana si deve essere orgogliosamente italiani al 100 per cento». Alla base di questa argomentazione, che per la verità ha lasciato allibita la maggior parte dei potenziali interlocutori politici, c’è il rifiuto della mixité. Al suo “vertice” troviamo invece la promozione di una discriminazione legalizzata di una parte dei cittadini – a vario titolo portatrice di due o più culture – considerata un ibrido inaccettabile e impresentabile: vorrebbe negare loro, infatti, un diritto politico fondamentale, contravvenendo quindi all’articolo 3 della Costituzione che invece garantisce gli italiani da qualsiasi forma di discriminazione. Tra base e vertice si estende il razzismo differenzialista, che non ha come obiettivo le differenze ma la loro mescolanza.
La prima formulazione coerente di questo tipo di pensiero risale al 1979, data di pubblicazione di Le idee a posto, libro con cui Alain de Benoist lancia il paradigma teorico di quella che poi diverrà famosa come Nuova destra. La gestazione di esso però è stata lunga e travagliata: già nel Sessantotto de Benoist aveva fondato il Grece (Groupement de recherche et d’études sur la civilisation européenne), raccogliendo un gruppo di ricercatori con l’obiettivo di riorganizzare il quadro teorico-politico della destra di allora giudicata in rovina. Durante una prima fase di elaborazione, il Grece esprime posizioni più o meno razziste, riconducendo le differenze alle diseguaglianze, tanto quelle interindividuali quanto quelle fra i gruppi etnici. Tra l’estate e l’autunno del 1979, la Nuova destra è oggetto di una vasta campagna di stampa volta a denunciarne il razzismo. Con Le idee a posto, però, il filosofo risponde alle accuse riformulando buona parte del proprio pensiero: gli uomini sono biologicamente uguali, le culture sono tutte paritarie e non esiste alcun principio di gerarchizzazione fra esse. In questo quadro, però, i popoli devono rimanere nettamente separati, e senza quest’ultima condizione sono legittimati e anzi devono lottare per la rigida conservazione della propria identità specifica.
Come ben evidenzia Annamaria Rivera ne L’imbroglio etnico: in quattordici parole-chiave, il neorazzismo differenzialista “naturalizza” le differenze tra i gruppi umani, trattandole alla stregua di cose immodificabili: il piano biologico, che si pensava superato con l’abbandono del concetto di razza, è in questo caso soltanto camuffato, poiché le culture divengono essenze immutabili ed originarie. Concepite in questo modo esse sfuggono al farsi storico, e ogni sincretismo deve venir letto come una trasgressione dello “stato di cose culturali”, alla stregua della violazione di un ordine naturalmente dato.
Il razzismo differenzialista è una reazione ai processi migratori che hanno coinvolto l’Europa negli ultimi anni, un fenomeno che la crisi economica ha ulteriormente contribuito a rafforzare in mancanza di una politica adeguata a promuovere i processi d’integrazione: basti pensare che Alba dorata, partito greco di estrema destra che nel 1999 rappresentava lo 0,75 per cento della popolazione, è ora una forza politica consolidata e che gli ultimi sondaggi danno a più del 10 per cento.
Ora, cerchiamo di avanzare con l’analisi e di capire in che modo la sparata di Allam, ma anche certi exploit di Carroccio, Casapound e, in generale, di tutti i sostenitori della formula “aiutiamoli a casa loro”, siano riconducibili, sebbene con differenti gradi di rozzezza, al razzismo differenzialista. I differenzialisti giustificano la loro posizione in nome di quello che hanno chiamato “diritto alla differenza”, ma a ben vedere questa autodefinizione lascia alcune falle aperte. La separazione intesa come diritto ammette implicitamente la possibilità dell’opzione contraria, sicché oltre all’apertura e al sincretismo, viene rivendicata anche la possibilità della conservazione della propria identità. Nel caso del razzismo differenzialista, invece, la separazione vien posta come unica condizione di possibilità per una produzione culturale autentica: per questo tutti i gruppi sociali devono adeguarsi ad essa, in nome di un “dovere” della differenza più che di un “diritto”. In questo quadro, tutte le forme di meticciato vengono da ogni parte osteggiate e combattute perché sarebbero un impoverimento rispetto alla ricchezza insita nelle culture originarie. Ma a venire colpiti, in questo modo, sono anche i popoli in difesa dei quali teoricamente ci si muove: poiché non sono più liberi di autodeterminarsi conformemente alla loro volontà e nelle direzioni che quest’ultima può decidere, venendo costretti alla sola legge dell’isolamento.
Il fuCristiano giustifica la propria proposta tentando – goffamente – di costituzionalizzare il “dovere della differenza”. Ma un fatto è chiaro: se in testa avesse avuto il “diritto”, avrebbe dovuto riconoscere la possibilità di azione politica del meticciato, pur potendo legittimamente promuovere la rigida conservazione della sua idea di italianità. Un conto, infatti, è lavorare in campagna elettorale per impedire l’elezione di un esponente politico “meticcio”, altro è pensare di rendere illegale che lui giuri fedeltà alla nazione. A noi pare questa una forma conclamata di razzismo differenzialista poiché, a differenza di altre, non esclude dal territorio italiano la presenza dell’Altro, ma lo relega in una posizione di minorità sociale sancita dall’esclusione legalizzata dalla piena titolarità dei diritti politici. Non è un caso, in tutto ciò, che il documento che contiene i punti qualificanti della politica di Io amo l’Italia – organizzazione politica di cui Allam è presidente –, così reciti: «Gli italiani hanno il diritto e il dovere di essere autenticamente e pienamente se stessi nella nostra Casa comune». Rimangono senza risposta – per il momento – alcune domande: a quale titolo lui, italo-egiziano convertito e rapidamente sconvertito al cristianesimo, si sente un inquilino legittimo di questa casa, mentre Kyenge non lo sarebbe? Bastano reiterate dichiarazioni d’amore, anche non corrisposte (lui ama l’Italia, ma non sembra che l’Italia lo ami altrettanto) per trasformarsi in italiano al 100% (l’espressione è orribile ma ci sforziamo di sposare il suo punto di vista)? Ma anche: quanti differenzialisti inconsapevoli ci sono in giro? Quest’ultima è certo una questione più rilevante.

Alessio Di Stefano

P.s. A partire dai primi anni Novanta, de Benoist modifica sensibilmente la propria posizione aprendo alla possibilità del multiculturalismo: anche dopo questa revisione, però, le culture vengono concepite come irriducibili, e gli scambi fra esse devono venir ammessi solo in misura limitata. Buona parte dell’estrema destra di oggi, però, non si riconosce più nel pensiero del filosofo francese, giudicato ormai “ammorbidito”, ed ha preferito rimanere ancorata alla fase precedente della sua elaborazione.