Dopo la tempesta

Mary Anne, una vita (stra)ordinaria

Stefano Galieni - 17 Novembre 2013

«Un tempo le cose andavano male, poi sono andate molto bene, ora ricominciano ad andar male. È la vita». Mary Anne parla a voce bassa al telefono, stupita di essere intervistata. «A chi può interessare una vita come la mia?». Ha superato da poco i 40 anni ed è in Italia da 12, vive in un quartiere della periferia romana dove si può ancora permettere un appartamento in affitto, ma non sa per quanto.
«Sono arrivata che già parlavo un poco di italiano grazie alle suore. Io abitavo a Luzon, nella stessa isola in cui c’è la nostra capitale, Manila, che però ho visto molto poco. Eravamo tante – racconta – che sognavamo di venire a lavorare in Italia. In Italia c’è il Papa, ci sono molte famiglie che avevano preso le ragazze più grandi di noi a lavorare e le notizie che ci arrivavano erano incoraggianti. Mio padre e mia madre hanno aspettato che prendessi il diploma e poi mi hanno regalato un biglietto di sola andata. Quando sono partita mio figlio Victor aveva solo 4 anni. Non dimenticherò mai il suo dolore. Ma non avevo scelta: mio padre era senza lavoro, rischiavamo di perdere la casa, il piccolo pezzo di terra che avevamo intorno. Ero io quella che li poteva aiutare. Trovare lavoro è stato facile. Sono stata assunta da una signora che aveva un bambino poco più piccolo del mio. Vivevo da loro, accompagnavo Massimo all’asilo, tornavo a casa e pulivo. Poi lo andavo a riprendere e stavo con lui fino al ritorno dei genitori. Dopo un anno, il marito della signora l’ha lasciata e io mi sono trovata a lavorare ancora di più. Guadagnavo bene rispetto alle altre: 700 euro al mese più vitto e alloggio e almeno 500 li mandavo a casa. Avevo anche due mezze giornate libere e la domenica potevo andare a messa ma una cosa mi era proibita: far venire mio figlio, che intanto cresceva da solo. Per fortuna ho incontrato altre donne come me e anche uomini in gamba che facevano una trasmissione radiofonica nella mia lingua, il tagalog, dicevano cose molto dure sulla nostra situazione politica, ma faceva bene sentir parlare in radio di qualcosa che capivo bene. Mi hanno dato coraggio e alla fine ho detto alla signora che o mi consentiva di far venire mio figlio o me ne sarei andata. Massimo si era affezionato a me, ma non c’è stato niente da fare. Allora ho trovato due lavori: la mattina a far le pulizie in un grande ufficio e la sera a fare compagnia ad una donna di 85 anni simpaticissima. Ho cominciato a guadagnare tanto e a conoscere più persone come me. Sei anni fa Dio mi ha pensato. Ho trovato lavoro per mio marito come giardiniere, lui ha sempre amato le piante. È riuscito ad entrare con un decreto flussi e abbiamo portato anche nostro figlio. Ho contato anche i minuti che mancavano all’arrivo, temevo problemi, ho avuto una giornata di permesso e sono andata all’aeroporto 3 ore prima dell’arrivo. Quando mi hanno visto mio marito è scoppiato a piangere e mi ha abbracciata. Victor mi guardava ed era strano. Era grande, bello, magro ma bello. Mi ha chiesto subito: “Perché mi hai lasciato?”.
Ho passato due anni terribili, Victor non voleva andare a scuola, non voleva imparare l’italiano, non mi guardava mai in faccia, parlava solo con mio marito. Per fortuna lui ha preso in mano la situazione e gli ha parlato come si parla ad un adulto. Una sera, anzi una notte, tornando a casa, ho trovato Victor in piedi ad aprirmi la porta e quando mi ha vista mi ha stretta forte, forte e lì ho pianto io come una bambina, ma di gioia. Tanti ragazzini senza le madri diventano tossici, le ragazzine sono ancora più sfortunate. Spesso si ritrovano incinte senza sapere chi è il padre, a volte le più grandi subiscono violenze dai padri. Molti si deprimono e si suicidano».
Victor ormai mischia un curioso accento romano con le sonorità asiatiche, a detta della madre è benvoluto a scuola e ha molti amici italiani, ma il marito di Mary Anne ha perso il lavoro da quasi un anno e non trova altro che piccoli impieghi al nero. Sono in ritardo con l’affitto anche perché continuano a mandare soldi alle famiglie a casa. A Mary Anne hanno ridotto il numero di ore di lavoro in albergo.
«Io prego che si esca dalla crisi. Prego con le stesse parole di Papa Francesco, prego e lavoro, cosa altro posso fare? Entro breve però dobbiamo prendere una decisione. Forse mio marito se ne torna a casa e da me vengono a vivere due connazionali che sono sole e con cui siamo diventate amiche. Insieme potremmo pagare l’affitto, ci costerebbe di meno il cibo e sarei tranquilla per Victor. Ma anche questa sarebbe una soluzione temporanea. Se le cose qui da voi migliorano faccio crescere mio figlio qui, altrimenti vediamo. Io ormai ho la carta da lungo soggiornante e potrei andare in un altro paese europeo – anche se Roma mi piace troppo. Con Victor ne parliamo. Lui da una parte ormai vorrebbe restare qui, dall’altra ha gli stessi sogni dei suoi compagni di scuola che difficilmente si possono realizzare in questa condizione. E il mio di sogno? Aspettare che Victor possa decidere per proprio conto, avendo almeno preso il diploma, lavorare qualche altro anno e poi tornarmene anche io nella casa in cui sono nata. Con tante esperienze in più e il mio pezzettino di terra. Potrei anche aprire un ristorante italiano – si interrompe ridendo – ormai faccio la carbonara molto bene! Ho imparato molto della cultura italiana ma non ho mai chiesto la cittadinanza e molti di noi non lo faranno mai. Noi vogliamo tornare: questo è un posto che ci ospita, nel bene e nel male, ma non è il posto in cui invecchiare».

Stefano Galieni