Falsi allarmi

L’idraulico bulgaro

Sergio Bontempelli - 6 Gennaio 2014

plumber300216 Dal 1° gennaio rumeni e bulgari possono liberamente lavorare in tutti gli Stati Ue. In Germania e in Gran Bretagna si scatena la psicosi dell’invasione: ma i dati la smentiscono

Tutto è cominciato con la leggenda dell’«idraulico polacco». Correva l’anno 2005, e l’Unione Europea stava approvando la “Direttiva Bolkenstein”, che prevedeva la liberalizzazione dei servizi in tutti i paesi membri. In nome di una (legittima) diffidenza nei confronti di un mercato senza regole, molti euroscettici maturarono una (assai meno legittima) ostilità contro i lavoratori migranti: e così, si diceva in Francia, chi avrebbe più assunto un idraulico “autoctono” – un francese purosangue – se per riparare lo stesso tubo si poteva chiamare un idraulico polacco, disposto a fare lo stesso lavoro a prezzi stracciati?

È passato qualche anno, e l’invasione degli idraulici polacchi non si è verificata: le famiglie francesi, per riparare i loro tubi, hanno continuato a chiamare professionisti “indigeni”. Anche i timori di flussi incontrollabili dall’Est sono usciti ridimensionati: dopo il “maxi-allargamento” dell’Ue nel 2004 (dieci nuovi Stati membri), gli arrivi sono stati modesti. Alle frontiere non si sono presentate fiumane di idraulici polacchi, né di domestici ungheresi, né di manovali lettoni o lituani…

Infine, nel 2007, i venticinque paesi Ue sono diventati ventisette, con l’ingresso della Romania e della Bulgaria. Ancora una volta, nel Vecchio Continente si è diffuso il terrore dell’invasione. Tanto per fare l’esempio più ridicolo, in Italia il quotidiano Libero usciva il 2 gennaio di quell’anno con un bel titolo ad effetto, sparato a piene colonne: «Arrivano 30 mila zingari». Sottotitolo: «L’entrata della Romania in Europa porterà un’ondata di nomadi nelle nostre città» (si veda qui). Timori infondati, anche in quel caso: romeni e bulgari hanno continuato ad emigrare, ma a ritmi grosso modo analoghi a quelli degli anni precedenti. Nessun “idraulico bulgaro” sull’uscio di casa, dunque.

La sindrome dell’idraulico bulgaro…

Dal 1° gennaio di quest’anno i rumeni e i bulgari possono liberamente circolare e lavorare in qualunque paese Ue, senza alcuna restrizione: la cosa ha scatenato di nuovo i furori di chi teme l’invasione degli “idraulici bulgari”. Le smentite offerte dalla storia recente, a quanto pare, non hanno insegnato nulla. Vedremo tra poco che cosa è davvero cambiato dal 1° gennaio 2014, dato che su questo punto circola tanta disinformazione. Per adesso, diamo un’occhiata a cosa sta accadendo nel Vecchio Continente.

In Gran Bretagna, da mesi il premier David Cameron agita lo spettro dell’invasione bulgaro-rumena. In particolare, il leader conservatore si erge a paladino degli “autoctoni” contro i migranti che – a suo dire – farebbero “turismo dei sussidi”, cioè arriverebbero in massa per godere dei benefici del welfare britannico.

Per arginare la (presunta) “marea”, il gabinetto conservatore ha predisposto alcune misure di contenimento: così, a partire dal 2014 i cittadini Ue dovranno attendere tre mesi prima di avere il sussidio di disoccupazione o l’assegno familiare. Con questi provvedimenti, i conservatori cercano di arginare il successo elettorale dell’Ukip, il partito nazionalista e xenofobo in ascesa nei sondaggi.

In Germania, a dar fuoco alle polveri è la Csu, il partito “democristiano” della Baviera: che proprio nei giorni scorsi ha lanciato una campagna contro i migranti comunitari, rei di “approfittare” del generoso sistema tedesco di welfare. Anche i conservatori bavaresi propongono di negare le prestazioni sociali ai cittadini Ue nei primi tre mesi di residenza. E anche in questo caso, le dichiarazioni anti-immigrati sono uno strumento elettorale: in Baviera si terranno a marzo le elezioni comunali, e la Csu teme l’avanzata degli euroscettici di Alternative fur Deutschland.

… e l’idraulico italiano

La sindrome dell’invasione è però del tutto fuori luogo. Per vari motivi. In primo luogo, l’immagine del migrante rumeno, o bulgaro, che “ruba” i sussidi è largamente smentita dai dati. L’Economist, ad esempio, cita le statistiche del Labour Force Survey dell’Unione Europea: tra i cittadini comunitari emigrati oltremanica dal 2010 ad oggi, soltanto il 2% ha richiesto sussidi di disoccupazione, assegni familiari e altri contributi.

Non basta. Lo spettro dell’invasione di bulgari e rumeni rischia di non fare i conti con i profondi mutamenti dei flussi migratori, che stanno accadendo sotto i nostri occhi. E che riservano qualche sorpresa, soprattutto per noi italiani.

Nel Regno Unito, infatti, i nostri concittadini iscritti alla National Insurance (l’equivalente britannico dell’Inps, che registra tutti i lavoratori subordinati), sono passati dai 25.800 del 2012 ai 39.400 nel 2013, con un incremento del 52 per cento in un anno. Nello stesso arco di tempo, i lavoratori spagnoli sono aumentati del 40%, i portoghesi del 45%, i greci del 31% [si veda qui]. In Germania le cose non sono così diverse: nel primo semestre del 2013, il più alto numero di arrivi è stato registrato dalla Polonia, ma l’Italia è al terzo posto dietro la Romania (e davanti a Ungheria e Spagna).

Detto in altri termini: l’immigrazione intracomunitaria viene sempre meno da Est (dall’area ex-socialista), e sempre più da Sud (dai paesi mediterranei colpiti dalla crisi: Italia, Spagna, Grecia). Il minaccioso idraulico è più italiano che polacco.

Disinformazione a piene mani

Le campagne anti-bulgare, e anti-rumene, stanno poi seminando disinformazione a piene mani. Perché fanno credere che i vincoli imposti alla libera circolazione, dopo il 2007, potessero effettivamente arginare i flussi migratori. E invece le cose non stanno così. Sarà bene, su questo punto, fare un po’ di chiarezza.

Il 25 aprile 2005, l’Unione Europea firmò a Lussemburgo il trattato che sanciva l’ingresso della Romania e della Bulgaria nello spazio Ue, fissando la data dell’adesione al 1 gennaio 2007. Da quel momento, i rumeni e i bulgari sarebbero diventati cittadini comunitari a tutti gli effetti, titolari dei medesimi diritti garantiti a italiani, francesi, spagnoli o tedeschi. E tra questi diritti erano – e sono – comprese anche la libertà di circolazione (la possibilità di attraversare le frontiere interne alla Ue, senza visti né permessi di soggiorno) e la libertà di impresa (il diritto di commerciare liberamente o di esercitare attività di lavoro autonomo).

In cosa consistono, dunque, le famose restrizioni decadute il 1° gennaio 2014? Gli Stati Membri avevano la possibilità – ma non l’obbligo – di mantenere alcuni vincoli all’esercizio del lavoro subordinato. L’Italia ha rimosso questi vincoli nel 2012 (ed è per questo che nel nostro paese non assistiamo alle isterie da invasione): altri paesi della Ue, invece, li hanno mantenuti, ma ora devono obbligatoriamente farli cessare.

Come si è detto, però, queste limitazioni riguardavano la possibilità di stipulare regolari contratti di lavoro, non di circolare nel territorio della Ue. L’ingresso e il soggiorno in tutti gli Stati Membri era (ed è) un diritto dei rumeni e dei bulgari, che dopo il 2007 non è mai stato soggetto ad alcun vincolo. I migranti potevano entrare in, e uscire da, qualsiasi paese europeo, e potevano anche aprire aziende e attività commerciali o professionali (ivi compreso il mestiere di idraulico, purché a partita Iva…).

Che senso aveva, dunque, la proposta – formulata dai conservatori britannici – di mantenere in vigore le restrizioni? I rumeni e i bulgari sarebbero comunque emigrati, ma senza la possibilità di lavorare regolarmente: sarebbero stati consegnati al lavoro nero, sommerso o semisommerso. Come sempre, la propaganda anti-immigrati si nutre di disinformazione e di frasi ad effetto. Noi, in Italia, ne sappiamo qualcosa.

Sergio Bontempelli