Serie tv

Usoni, il futuro è in Kenya

Stefania Ragusa - 28 Gennaio 2014
Cherie Lindiwe

Cherie Lindiwe

Usoni è una parola swhaili che vuol dire futuro. Ed è il titolo di una serie tv realizzata in Kenya (tra Nairobi e Mombasa) e ambientata in un lontano – ma poi quanto? – 2062 e che racconta di migrazioni “al contrario”: dall’Europa in pieno dissesto ambientale e sociale a un’Africa divenuta, per i bianchi occidentali, la terra promessa, l’unico luogo del pianeta in cui il sole sorge ancora. Il futuro, appunto. Ulysses e la sua compagna decidono di affrontare il mare per provare a raggiungerla. E partono su un barcone proprio da Lampedusa. Ma raggiungere l’Africa è tutt’altro che semplice: ci sono scafisti da pagare, controlli militari da aggirare… Il trailer è in rete da novembre, quando la puntata pilota è stata proiettata nell’auditorium della United States International University (Usiu) di Nairobi. Come mai proprio qui? Perché questo lavoro, ideato dal cineasta francese Marc Rigaudis, è stato realizzato dagli studenti di questa università. Lunedì 27 gennaio è prevista invece la presentazione ufficiale, ancora a Nairobi, presso l’Alliance Française au Kenya. Noi abbiamo intervistato Cherie Lindiwe, regista della serie e studentessa.

Lasciare l’Europa per costruirsi un futuro diverso e migliore in Africa… Voi avete spostato questo scenario nel 2062, ma non sta accadendo già?
«Sì, ci sono molte persone che già stanno seguendo questo percorso, dal Portogallo all’Angola, per esempio. L’Africa continua a essere rappresentata come il continente dell’arretratezza, della povertà e della guerra senza fine, ma in realtà in molti Paesi si stanno aprendo reali possibilità di crescita. Da ora a 50 anni è ragionevole prevedere che tutto questo sarà ancora più intenso. È importante sottolineare, tuttavia, che le opportunità dell’Africa non dovranno necessariamente essere accompagnate dalla catastrofe in Europa: noi ci auguriamo che questo non accada e che per i due continenti ci sia un futuro di scambio e condivisione».

Come nasce Usoni?
«Il progetto è stato ideato due anni fa da Marc Rigaudis, filmaker e docente alla School of Science & Technology faculty dell’Usiu di Nairobi. È stato pianificato come un film che noi studenti avremmo dovuto modificare e riadattare sotto forma di serie tv per approfondire e rappresentare temi d’attualità come l’immigrazione, la corruzione, le difficoltà di governance…».

Questa serie ha un obiettivo pedagogico?
«Sì. Noi vogliamo lanciare dei messaggi positivi: agli africani che vivono in Africa, a quelli della diaspora e agli occidentali. Vorremmo esortare i primi a cambiare lo sguardo su se stessi e a rendersi conto che oggi è possibile progettare un futuro migliore e dare concretezza alle proprie aspirazioni anche senza emigrare. Agli africani che vivono all’estero vorremmo dire che può essere arrivato il momento di tornare a casa, che in Africa c’è tanto da fare e ci sono anche buone opportunità. Agli europei, infine, vorremmo ricordare che l’Africa non è quella che loro immaginano, che c’è molto altro – di buono – che non sanno e/o non vedono. Questa rimozione della vera Africa (che non vuol dire un’Africa idealizzata) costituisce una perdita anche per loro».

Perché è così importante correggere la ricorrente immagine distorta dell’Africa?
«La visione stereotipata mortifica gli africani e li demoralizza, da un lato. Dall’altro mette in ombra opportunità, anche economiche e interessanti per tutti, non solo per gli africani, che varrebbe la pena di cogliere. E ci riferiamo alla cultura, all’imprenditoria, a nuovi mercati».

Come è stata accolta la serie? A quando nuovi episodi?
«Molto bene. Ci sono state molte recensioni, soprattutto all’estero. Ne ha parlato recentemente la Bbc nello spazio Focus on Africa, e ne hanno parlato quotidiani come The Guardian e La Repubblica. Attorno al nostro progetto si è sviluppato un dibattito molto vivace e questo non può che farci piacere. Le prossime puntate saranno realizzate in presenza di un accordo certo con una casa di produzione. Dovremmo esserci molto vicini».

Rispetto a Nollywood, l’industria cinematografica nigeriana, qual è la situazione in Kenya?
«L’industria cinematografica kenyota sta crescendo. È una crescita lenta, soprattutto a causa di fattori come le difficoltà di distribuzione e le produzioni pirata, però costante. Molte persone hanno idee brillanti e provano a realizzarle senza farsi fermare dalla carenza di mezzi tecnici. Come Usoni noi aspiriamo ad essere dei pionieri nell’ambito del cinema di qualità. Rispetto alla Nigeria, il Kenya produce film migliori, ma fatica a distribuirli. Nollywood lavora più sulla quantità che sulla qualità. Noi cerchiamo di fare il contrario, seguendo in questo senso l’esempio del SudAfrica e del Ghana».

Stefania Ragusa