Il teatro racconta

Lampedusa secondo Ascanio Celestini

Amalia Chiovaro - 18 Gennaio 2015

lampedusa1Lampedusa non è solo l’isola degli sbarchi, è tanto altro ancora. Questo lo racconta bene Ascanio Celestini, attore e drammaturgo italiano, che in questo momento è impegnato nella revisione delle interviste raccolte lo scorso settembre sull’isola, poco prima del Festival Sabir, e che presto potrebbero diventare una possibile drammaturgia per un documentario.
«Il problema di Lampedusa – dice Celestini – è che esiste una narrazione globale che sovrasta tutto e che poi non coincide con quelle che sono le narrazioni “domestiche”. L’isola viene raccontata solo attraverso le vicende dei migranti, morti o sopravvissuti. Con questo lavoro abbiamo voluto dare voce ai lampedusani che invece parlano d’altro, per esempio delle malattie da curare fuori dall’isola, o dei figli che nascono e che costano 7.000 euro, perché le famiglie sono costrette a trasferirsi altrove per farli nascere. Inoltre, a Lampedusa, una produzione culturale vera e propria non è mai stata fatta. Si è scritto molto, si è fatto molto, però quasi sempre dall’esterno, e a me invece interessava capire dall’interno».
L’aspetto più interessante che è andato emergendo da questo lavoro è che nessuno ha quasi mai tirato fuori argomenti legati al fenomeno migratorio: «Solo una ragazza – continua Celestini – ne ha parlato, raccontando la sua esperienza come volontaria nel centro di primo soccorso e accoglienza, una volta terminata la scuola. Questo mi ha fatto pensare alla “Sindrome del peggiore della classe”, nel senso che anche se ti sforzi di cambiare la tua condizione, di offrire una percezione diversa della tua vita, gli “altri” (il mondo intero) continuano a vederti come vogliono, come hanno già deciso. E questo ti porta ad una riflessione: “Che studio a fare se resto il peggiore della classe? Se sono già etichettato così? Emilio Quadrelli, nel suo saggio Gabbie metropolitane, lo spiega bene questo concetto. Racconta di due donne africane, donne recluse, che un giorno si sono spogliate e cosparse di olio e sono state inafferrabili per ore. Una cosa folle agli occhi di tutti, ma quando è stata chiesta loro una spiegazione hanno risposto: “L’abbiamo fatto perché voi ci vedete così”. Dire quello che gli altri si aspettano che possiamo dire è una operazione vecchia, ma con questa centrifuga culturale è diventata una regola. Lo sguardo etnocentrico, per esempio, pesa molto sullo sguardo che i migranti hanno di loro stessi. Ecco cosa sta venendo fuori dalle nostre interviste».

celestiniCelestini si concentra poi su alcuni racconti raccolti fra settembre e ottobre scorsi, durante gli eventi organizzati prima dai Cantieri Meticci e poi col festival Sabir, in occasione dell’anniversario della strage del 3 ottobre. Il drammaturgo, a distanza di qualche mese, propone una riflessione a freddo di tale esperienza, partendo dalle persone con cui ha interloquito: «L’isola è per forza di cose un concentrato di occidente. C’è uno spaesamento rispetto ad un mondo che diventa sempre più grande e incomprensibile. Don Mimmo Zambito, il parroco giunto da un anno sull’isola, parla del “Mondo in 20 chilometri quadrati”. Cercando di partire dal suo punto di vista, la questione è la stessa affrontata nel vangelo di Matteo, dove si dice che non si possono servire sia Dio che il denaro. A Lampedusa si pensa poco a Dio e molto al denaro. Si propende per la gestione del “cattivo amministratore” che troviamo nel vangelo di Luca, ovvero colui che dimezzò i debiti ai creditori del suo padrone, al fine di conquistarli. Anche Antonio Taranto, presidente dell’Archivio Storico di Lampedusa, in un suo articolo, descrive la storia antropologica dell’isola come una serie di depredazioni: i coloni spagnoli non riescono a coltivare la terra e tagliano selvaggiamente tutti gli alberi, poi arrivano quelli che raschiano i fondali per raccogliere le spugne, in seguito vengono da diverse parti del Mediterraneo per la pesca del pesce azzurro e ora, da trent’anni, si sfrutta il turismo. Insomma, ogni volta che si prospetta un nuovo motivo di guadagno si abbandona il precedente, sfruttando il presente senza pensare al futuro. In sintesi, il culto per il denaro, che risolve ogni problema e la narrazione globale, che precipita sull’isola senza che essa la senta come propria, sono i due protagonisti di questa ricerca».
Per il nostro interlocutore il tema dello spaesamento è divenuto un elemento cardine di analisi, tanto che aggiunge: «Delle migliaia di stranieri passati dall’isola non si è fermato praticamente nessuno. Un solo minore è stato adottato. Lampedusa (quella dei migranti) sta in tutto il mondo tranne che su quell’isola. Perciò sto cercando gli stranieri che sono passati e che non si sono fermati. Quelli che hanno visto Lampedusa come gli italiani vedevano Ellis Island. Ma soprattutto mi chiedo se la migrazione non sia un modo di vedere il mondo. Una deriva, insomma. In un racconto scritto nella primavera del 1918, Zweig parla di un soldato siberiano che, dalla Francia, cerca di tornare in Russia. Non sa che c’è stata la rivoluzione e scambia il lago di Ginevra per il lago Bajkal e cerca di attraversarlo per tornare a casa. Quello che vorrei raccontare è lo spaesamento che gli stranieri, provenienti dal mondo più povero, rappresentano in maniera eclatante e che riguarda anche noi che abitiamo nel settore più ricco del pianeta».
Di certo Ascanio Celestini tornerà a Lampedusa, magari con nuovi progetti, ma senza perdere il filo del racconto appena cominciato.

Amalia Chiovaro

Ha collaborato Alessia Di Vincenzo.