In questo numero

Veri e falsi problemi

Stefania Ragusa - 20 Gennaio 2014

L’esame del cosiddetto decreto svuota carceri, che prevede anche l’abolizione del reato di immigrazione clandestina, è slittato a questa settimana. Comunque vada (e ovviamente noi speriamo che vada in porto) siamo ancora lontani dall’abolizione della legge Bossi-Fini. Questo significa essere condannati all’immobilismo legislativo in materia di immigrazione? Ossia: fino a quando non ci libereremo da questa brutta legge sarà impossibile modificare lo status quo? Sergio Briguglio – una delle persone più preparate in Italia su questi temi – ritiene di no: la Bossi-Fini, con tutto il suo carico di errori, rappresenta oggi un falso problema e dunque un falso alibi. Delle norme approvate con questa legge, «poche sono ancora in vigore. Molte delle norme che il mondo politico progressista vorrebbe modificare sono state introdotte, in realtà, da leggi che con la Bossi-Fini non c’entrano nulla. Alcune, poi, erano state introdotte proprio dalla Turco-Napolitano», spiega nell‘intervista che gli ha fatto Sergio Bontempelli e che pubblichiamo in apertura. Molte modifiche sostanziali potrebbero essere apportate (se solo lo si volesse) anche senza toccare la Bossi-Fini.

Un problema vero – non eliminabile per legge – è la tendenza a farsi colpire da armi più o meno raffinate di “distrazione di massa”. Nel novero rientra la propaganda leghista che puntualmente, sotto elezioni, torna a palesarsi (a parlarcene è ancora Sergio Bontempelli). Obiettivo ricorrente di questa propaganda, e anche di quella di altre formazioni, è il ministro Cécile Kashetu Kyenge: attaccata per quello che è (una persona nera, di origine straniera e di genere femminile) e per quello che rappresenta (l’Italia già multiculturale e meticcia). Di fronte agli ultimi episodi (in particolare, i fatti di Brescia, la decisione della Padania di pubblicare giornalmente la sua agenda e la busta minatoria recapitata al ministero) l’associazione Giù le Frontiere lancia un appello pubblico, per invitare il governo a difendere in modo forte e chiaro questo suo ministro e per fare applicare le leggi, che già esistono, contro la violenza e le intimidazioni razziste. Lo slogan che lo caratterizza è: La Padania non esiste, l’Italia multiculturale invece sì. E non è interessata ai problemi elettorali della Lega.

Più pericolosa della propaganda leghista – perché confezionata in modo da apparire plausibile anche a personalità più raffinate (o presunte tali) rispetto a quelle padane – è la disinformazione “utilitarista” che passa attraverso testate autorevoli. Ci siamo occupati, in passato, degli exploit di Giovanni Sartori. Questa settimana Stefano Galieni ci propone interessanti considerazioni a partire dall’ultimo intervento del professor Panebianco, anche lui editorialista del Corriere della Sera.

Il tribunale di Bari si è recentemente espresso a proposito della class action promossa contro il Cie locale. Ne è sortita una forte censura e il paragone con Auschwitz. Ce ne parla Alessandra Ballerini, in questo caso a nome della campagna LasciateCientrare.

Compie dieci anni il blog Immagine dell’Africa, uno strumento che nel tempo ha contribuito a modificare l’immagine stereotipata del continente presso il pubblico italiano. Abbiamo intervistato il suo fondatore/ideatore, Daniele Mezzana.

Francesca Materozzi ci racconta FaceWall, un progetto che si snoda tra fotografia e biografia, ambientato a Prato, e che ha lo scopo di rendere visibile ciò che si vede ancora poco, ossia la “normalità” dei rapporti tra autoctoni è stranieri.

Gabriella Grasso, infine, ha intervistato Giuseppe Catozzella, che nel libro Non dirmi che hai paura (Feltrinelli) racconta la storia di Samia Yusuf Omar, l’atleta somala morta mentre tentava di raggiungere l’Italia.

Vi ricordiamo poi le Scor-Date, i Rom-Anzi, le rubriche e le brevi.

Buona lettura e buon inizio settimana!

Stefania Ragusa direttore@corrieredellemigrazioni.it